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Tutti gollisti! - Marat n. 18
La politica francese è ossessionata dal generale de Gaulle, e il 9 novembre ha inscenato una competizione per appropriarsi della sua eredità. Naturalmente c’è qualcuno a cui riesce meglio
Tutti gollisti! Come ogni novembre, la commemorazione della morte del generale Charles de Gaulle ha dominato l’agenda politica francese per settimane, complice il conformismo dei candidati alle elezioni presidenziali: dall’estrema sinistra all’estrema destra, ognuno ha provato a presentarsi come erede del «migliore dei francesi», padre della Quinta Repubblica e della grandeur ritrovata dalla Francia dopo la seconda guerra mondiale.
Il 9 novembre, i luoghi che ripercorrono l’epopea di de Gaulle sono stati teatro di un affollato pellegrinaggio. Marine Le Pen è andata a Courseulles-sur-Mer, nel Calvados, dove ha deposto una corona di fiori ai piedi della Croce di Lorena, simbolo della resistenza ai nazisti e della Francia libera guidata in esilio da de Gaulle, e poi a Bayeux, in Normandia, uno dei luoghi iconici del gollismo: è qui che il generale ha pronunciato due famosissimi discorsi, il primo nel 1944, subito dopo lo sbarco in Normandia, il secondo nel 1946, per avanzare le sue proposte in vista della nuova costituzione, proposte che l’opinione pubblica e i partiti accolsero con indifferenza1.
Marine Le Pen prova da anni, senza grande successo, a utilizzare la figura del generale per dare maggior dignità alla piattaforma politica del Rassemblement national, malgrado il passato ferocemente anti-gollista del suo partito, nato proprio per contestare e distruggere l’eredità di de Gaulle. A giudicare dall’accoglienza (e da condizioni metereologiche sfortunate), anche questo tentativo non è andato a buon fine.

Il centrodestra moderato, i Républicains, ha invece organizzato un omaggio collettivo dei cinque candidati (che si sfideranno al congresso del prossimo 4 dicembre) a Colombey-les-Deux-Églises, città dove è sepolto de Gaulle. Voleva essere un momento di unità e di rivendicazione di un’eredità in teoria incontestabile: dopotutto i Républicains rappresentano il partito diretto discendente del movimento gollista. E invece, il momento è passato relativamente inosservato, senza cambiare il copione di questo inizio di campagna elettorale, contraddistinto dall’incapacità di trovare sia un candidato naturale che un tema da lanciare nel dibattito.
Éric Zemmour, il candidato-non-ancora-candidato, utilizza moltissimo l’immagine del generale come ultimo grande uomo politico per nutrire la propria narrazione fatta di nostalgia per un passato grandioso a cui tendere. Al netto della contraddizione con altre sue posizioni, come quella assolutoria nei confronti del governo collaborazionista del maresciallo Pétain, che avrebbe «salvato gli ebrei francesi dalla deportazione in Germania», un falso storico acclarato, questa narrazione piace molto ai suoi sostenitori.
Anche Anne Hidalgo, candidata del partito socialista, ha deciso di andare a Colombey, rasentando il paradosso: il padre nobile dei socialisti è François Mitterrand, grande rivale del generale e sconfitto alle elezioni presidenziali del 1965, quando aveva fatto campagna denunciando «il colpo di stato permanente» rappresentato dalla costituzione gollista.
Jean-Luc Mélenchon, leader della France insoumise e grande tribuno dell’estrema sinistra, con cui in teoria de Gaulle non ha nulla a che fare, ha colto l’occasione per ricordare che, in fondo, anche il generale era «un insoumis». Non è andato in pellegrinaggio, tuttavia non ha potuto esimersi dal prendere anch’egli un pezzettino di gollismo.
Persino i candidati sovranisti “minuscoli”, Florian Philippot e Nicolas Dupont-Aignan, sotto il 2% nei sondaggi, hanno fatto capolino a Colombey, utilizzando la scampagnata per ricordare all’opinione pubblica la propria esistenza.
Il sondaggio, condotto nel 2016, è dell’Istituto Bva. I francesi sono molto interessati alla loro storia, coltivarla è parte della narrazione nazionale e anche dell’ossessione per un passato che in molti ritengono migliore del presente. La nostalgia imperiale è ciò che ossessiona una parte dell’opinione pubblica, come dimostra l’ascesa di Éric Zemmour.
Secondo la storica Diane De Vignemont, che da tempo documenta su Twitter la gaullomania dei candidati e dei media, la figura del generale è pratica perché è ormai slegata dal suo movimento politico: «In francese si utilizzano due termini, il primo è gaullien, che fa riferimento all’uomo, e quindi al mito che l’uomo incarna, il secondo è gaullisme, che invece indica il movimento politico. Il concetto più utilizzato dai politici è il primo, perché ci si può rifare a delle immagini consensuali: la grandeur, “una certa idea della Francia”, la volontà di riscattare il paese dal collaborazionismo, la capacità di rendere la nazione autonoma negli affari internazionali. Tutti temi che hanno meno connotazione politica del gollismo, più legato ai sostenitori del generale che a lui stesso».
In questo contesto di corsa a chi è più gollista, Emmanuel Macron ha ancora una volta ricordato a tutti il vantaggio di candidarsi da presidente uscente. Sfruttando la ripresa dell’epidemia, ha fissato un discorso alla nazione alle ore 20 del 9 novembre, ottenendo nei giorni precedenti e in quelli successivi gran parte dell’attenzione dei media che hanno riempito pagine sul contenuto e sul significato del discorso. E ha raccolto davanti alla TV 20,9 milioni di telespettatori.
Zemmour aveva tentato di utilizzare il 9 novembre per presentare la propria candidatura, facendo filtrare alla stampa l’idea, ma dopo una serie di reazioni molto dure, e forse spaventato anche dalla scelta di Macron di parlare alla nazione, ha rinunciato.
Macron si è potuto permettere di “ignorare” la commemorazione anche perché negli anni ha pazientemente inserito elementi gollisti nel suo immaginario. Nel 2020, anno del cinquantennale della morte, il presidente francese ha tenuto tre discorsi solenni per ricordare il generale, e nel suo ufficio i riferimenti a de Gaulle si accumulano: nella sua foto ufficiale, alla sua destra, un esemplare delle mémoires de guerre è aperto sulla scrivania; il logo dell’Eliseo ha integrato la croce di Lorena, e in una delle stanze che Macron utilizza per le interviste si può vedere un modellino della Simca Chambord, la macchina utilizzata da de Gaulle nei primi anni di presidenza.
Il 21 giugno 2017, il presidente e la moglie visitano i loro predecessori, Jacques e Bernadette Chirac. Alla fine dell’incontro, l’ex presidente regala a Macron una piccola foto del generale de Gaulle in abiti civili all’interno di una cornice in bronzo. È un omaggio sobrio ma molto significativo, un cimelio che Chirac aveva tenuto sulla sua scrivania per tutti i 12 anni passati all’Eliseo.
Come ha spiegato al Figaro Claude, la figlia di Chirac: «È un oggetto molto personale. Ma al di là di questo, il presidente Chirac voleva rimarcare la continuità della Repubblica al di là delle appartenenze politiche». In quell’occasione, Macron promise: «Lo rimetterò al suo posto». Da quel momento, il ritratto di de Gaulle è effettivamente di nuovo al suo posto.

Diane De Vignemont ha impiegato moltissimo tempo per scovare quale foto contenesse la piccola cornice in bronzo. Tutti sapevano che era una foto di de Gaulle, ma niente più di questo: soltanto chi è seduto alla scrivania può vederla.
Se leggete il francese vi consiglio questo thread, molto istruttivo sull’iconografia gollista.


Macron aveva già utilizzato il generale durante la campagna elettorale del 2017, quando si era detto convinto che il paese avesse bisogno di un momento di grande collaborazione tra uomini e donne «sia di destra che di sinistra». Poco dopo le elezioni presidenziali e la formazione del governo, ho seguito il ministro dell’Economia, Bruno Le Maire, per una giornata nella sua circoscrizione dell’Eure. Le Maire, che era stato ministro di Nicolas Sarkozy e candidato alle primarie dei Républicains nel 2016, era uno dei “trofei” che Macron aveva strappato al centrodestra moderato. E mi disse che aveva accettato perché bisognava approfittare del «moment gaullien», una formula perfetta per respingere le critiche di chi in quel periodo lo accusava di opportunismo.
L’utilizzo politico dell’uomo della provvidenza è anche un segno di difficoltà del sistema dei partiti, che ha perso settimane cercando di conquistare la spilla di meilleur gaullien al posto di lavorare sulle idee. C’è anche un tentativo di blandire l’elettorato, che non ritiene i politici attuali all’altezza del loro compito. Secondo Diane De Vignemont, «i candidati vogliono sfruttare la percezione che l’opinione pubblica ha di de Gaulle. La Francia è convinta che quella del generale sia stata l’ultima e unica presidenza senza problemi, senza scandali o fenomeni corruttivi. Il generale è percepito come un uomo di Stato disinteressato al potere; non è così, ma il punto non è la storia in sé, bensì la narrazione».
Naturalmente la corsa al gollismo alimenta la fantasia della satira, che si diverte moltissimo a prendere in giro i politici per questa ossessione.
In fondo, il generale è anche l’incarnazione di una Francia che non esiste più; l’ultimo politico a trovarsi di fronte un paese relativamente omogeneo, e soprattutto unito nella volontà di superare la sconfitta della seconda guerra mondiale, tornare a crescere economicamente, fare figli e ritrovare un posto tra i grandi del mondo. Oggi la Francia è diventata un arcipelago, e forse guardare indietro è l’unico modo che ha per dimenticarlo.
Consigli di lettura e fonti
Il pezzo del Figaro che racconta la storia della piccola cornice donata da Chirac a Macron.
La giornata del 9 novembre e il pellegrinaggio dei candidati sui luoghi gollisti, raccontata dal Monde, Mediapart ragiona sulle contraddizioni dell’estrema destra, divisa tra le due incompatibili eredità di de Gaulle e Pétain.
Macron sui passi di de Gaulle, una lunga inchiesta del Monde, l’Opinion spiega la differenza tra gaullien e golliste utilizzando il Front national, Challanges si interroga su questa gaullomania che sempre di più struttura la politica del paese.
Un breve video dell’Ina, l’institut national de l’audiovisuel, che raccoglie tutte le immagini significative della storia recente di Francia, sull’utilizzo di de Gaulle nei discorsi dei politici.
Marat è una produzione di Nightreview S.r.l. – ISSN 2784-8728
Copyright © 2021, Francesco Maselli. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
La formulazione della frase era poco precisa e l’ho quindi modificata grazie al consiglio del professor Carlo Fusaro, che trovate nei commenti, con una spiegazione più approfondita di quella fase storica.
Tutti gollisti! - Marat n. 18
Ottimo!
Caro Maselli, un altro ottimo articolo.
Ho però un'osservazione critica su questa frase iniziale che le è sfuggita. Cito: «il secondo nel 1946, per introdurre la nuova costituzione che poi egli stesso smantellerà successivamente, nel 1958», che si riferisce a secondo discorso del generale a Bayeux. In realtà, quel discorso suggeriva un assetto istituzionale ben diverso da quello che i partiti alla AN Costituente (sia la prima sia la seconda) stavano apparecchiando, rispetto al quale de Gaulle era radicalmente e irremovibilmente critico. In effetti ne sarebbe nata la Costituzione della IV Repubblica che vide il generale isolato all'opposizione.
Quando i partiti nel giugno 1958 a fronte del dramma algerino furono costretti a rivolgersi a lui e gli delegarano (salvo referendum confermativo) la stesura della nuova Costituzione, il generale riprese in parte quelle idee (compromessi ne dovette fare), salvo poi completare la riforma con il successivo passaggio dell'introduzione dell'elezione diretta del Presidente (nel '58 non c'era ancora), nel 1962. La frase andrebbe riformulata, per esempio, così:«il secondo nel 1946, per avanzare le sue proposte in vista della nuova costituzione, proposte che i partiti avrebbero del tutto disatteso, salvo poi, dodici anni dopo, rivolgersi a lui nel 1958, per riformare radicalmente la Quarta Repubblica, dando vita alla Quinta».