La Francia è diventata un arcipelago - Marat n. 8
Il paese si racconta come unito e omogeneo, ma si è scoperto diviso in tante isole che non comunicano tra loro. Accontentare e blandire tutte sarà impossibile in campagna elettorale
Secondo la Treccani un arcipelago è un «raggruppamento di isole sparse nel mare ma abbastanza vicine tra loro e a volte con caratteristiche morfologiche analoghe». Non solo, il termine «ha assunto nel linguaggio giornalistico il significato generico, che di volta in volta si precisa nei diversi contesti, di unione di “isole”, cioè di gruppi, comunità o anche persone singole, isolate l’una dall’altra ma affini per condizioni socio-politiche o per orientamento ideologico, e in rapporto di reciproco e più o meno intimo scambio sia tra loro sia anche, spesso, con gli elementi che costituiscono altri “arcipelaghi”».
Seguendo questa definizione, un sociologo francese, Jérôme Fourquet, direttore del dipartimento opinioni dell’Istituto di sondaggi Ifop, ha scritto un lungo e documentatissimo saggio che si intitola, appunto, L’Arcipelago francese. La tesi di Fourquet è che la Francia, malgrado l’idea comune che la racconta come una nazione unita e omogenea, si stia «disarticolando», e stia diventando un arcipelago di tante isole che non riescono più, insieme, a fare comunità.
Mercoledì primo settembre Emmanuel Macron ha inaugurato il suo “viaggio” interno più lungo da quando è al potere. Il presidente ha trascorso tre giorni a Marsiglia, città problematica per l’alto tasso di criminalità e per la relativa povertà, se paragonata ad altre metropoli del paese. La scelta, che di fatto dà il via alla sua campagna elettorale, non è casuale, e possiamo legarla alla volontà di affrontare i problemi che la “nazione arcipelago” sente come più importanti, in particolare sicurezza, scuola, sanità, cambiamento climatico.
Macron ha un grande vantaggio rispetto a tutti i suoi rivali, presunti o concreti: è il presidente uscente, e può mostrare all’opinione pubblica di occuparsi del paese mentre i suoi avversari cercano faticosamente di guadagnarsi la leadership del proprio campo. Ne ha un secondo: l’esplosione della società descritta ne L’Arcipelago francese ha finora favorito la sua traiettoria politica. Anzi, in qualche modo Macron è il risultato di questa esplosione. Vedremo perché.
Il libro di Fourquet, pubblicato nel 2019, ha influenzato profondamente il dibattito pubblico di questi anni. È un saggio lungo, pieno di numeri e grafici, complicato da comprendere, eppure ha venduto più di 100mila copie, probabilmente perché individua diversi fenomeni che hanno contribuito, nel corso degli ultimi decenni, a creare questa nuova realtà.
I più importanti sono la marginalizzazione dei cattolici, la secessione delle élite, l’affrancamento culturale e ideologico delle categorie popolari e la sempre maggiore eterogeneità etno-culturale del paese. A questo si aggiunge un fenomeno relativamente nuovo, gli emigrati. Per la Francia è una novità: i francesi all’estero iscritti alle liste elettorali sono passati da 385mila nel 2002 a 1.264.000 nel 2017, una progressione del 228% in 15 anni.
La tesi centrale del saggio è che la matrice fondante della nazione francese dalla Rivoluzione a inizio Novecento è stata la convivenza tra l’influenza della Chiesa cattolica e l’ideale repubblicano. Questa convivenza, che ha strutturato la vita quotidiana e politica per secoli, è completamente scomparsa senza essere sostituita da un altro tratto comune. Ed ecco che si spiega l’arcipelago.
I dati che ha raccolto Fourquet sono impressionanti. Prendiamo i battezzati: un sondaggio del 2012 condotto dall’Ifop notava una profonda differenza tra le persone con più di 65 anni (88% di battezzati) e quelle tra 18 e 24 anni (65% di battezzati). In meno di due generazioni, la caduta è ripidissima e in accelerazione, se consideriamo che nel 1961 l’82% degli intervistati diceva di voler battezzare i propri figli, contro il 58% nel 2012.
In poche parole, si passa da una norma sociale quasi implicita a una scelta di poco più di metà della popolazione. Aggiungiamo un altro tassello: nel 1961, il 35% dei francesi battezzati dichiarava di andare a messa almeno una volta alla settimana; questo dato scende al 6% nel 2012.
Come è facilmente intuibile, il fenomeno di “scristianizzazione” ha delle conseguenze anche sulla presenza territoriale della Chiesa come istituzione. Negli anni ’50 e ’60 del Novecento, la Chiesa aveva un radicamento simile a quello dello Stato, facilmente riscontrabile nelle numerosissime cappelle, parrocchie e chiese in ogni comune. La presenza capillare consentiva una grande presa sociale, anche questa immutata nei secoli: il numero di preti, religiosi e suore del 1789 (170mila) era pressoché identico nel 1950 (177mila). Oggi il numero dei preti diocesani, cioè la parte del clero che si occupa di gestire le parrocchie, è in caduta libera.
Fourquet, che è una personalità di primo piano nel dibattito pubblico francese grazie alla sua capacità di interpretare e condurre i sondaggi di opinione, utilizza un metodo relativamente nuovo per dare sostanza alla sua indagine. I nomi propri.
Prendiamo il nome Maria. A inizio Novecento, circa una bambina su cinque si chiamava così. È un segno evidente dell’influenza della cultura cattolica e dell’omogeneità della società, perché i nomi che diamo ai nostri figli sono tra le scelte più intime che compiamo in vita. A partire dal secondo dopoguerra, la percentuale decresce sensibilmente, fino a scomparire: tra le bambine nate nel 2016, soltanto lo 0,3% si chiama Maria. Non solo, a inizio Novecento, i francesi utilizzavano circa 2.000 nomi: segno, appunto, di una società relativamente omogenea. Oggi i nomi propri utilizzati sono più di 13mila (in un contesto di relativa diminuzione delle nascite), per effetto dell’immigrazione certo, ma anche per l’affrancamento dalla cultura cattolica dominante.
È un cambiamento epocale. I cattolici sono diventati una delle tante isole, e ormai ispirano inchieste e articoli come quello pubblicato da Libération nel giugno 2017, con un titolo evocativo: «Alla ricerca del cattolico perduto». Ormai soltanto il 12% dei francesi è cattolico praticante.
A questo fenomeno si lega la dimensione multietnica della nazione: «La società francese è diventata, de facto, una società multiculturale. Il nostro paese non conoscerà mai più la situazione di omogeneità etno-culturale che ha prevalso fino alla fine degli anni ’70», scrive Fourquet. Ancora una volta, i nomi raccontano molto: sulla base di dati raccolti dall’Istituto di statistica francese (l’Insee), il sociologo ha analizzato i nomi dei maschi nati dal 1900 al 2016. Se nel 1900 la percentuale di nomi arabo-musulmani era poco più dello 0%, nel 2016 questa raggiunge il 18,8%, circa uno su cinque. La popolazione totale che può essere definita arabo-musulmana oggi è di circa il 10 % (dipende dalle inchieste, in Francia sono vietati i censimenti su base etnica), ma questo dato ci dice che nei prossimi anni la percentuale crescerà.
Infine, la secessione delle classi dominanti e l’affrancamento culturale della parte più povera della popolazione hanno contribuito a distruggere il quadro politico francese, abituato a un sostanziale bipolarismo tra destra e sinistra. Ci sono due Francia molto lontane tra loro nelle aspirazioni e nei valori. Direte voi, è sempre stato così. Relativamente.
Secondo Fourquet, le persone più agiate «si sentono sempre meno legate alla nazione e a un destino comune che condividono con il resto della società». Uno dei motivi è analizzato da un altro sociologo citato nel libro, Emmanuel Todd: «Per la prima volta, i più istruiti possono vivere tra loro, produrre e consumare la loro cultura. In passato, scrittori e produttori di ideologie dovevano rivolgersi alla popolazione nel suo insieme, o accontentarsi di parlare da soli. Il fatto che siano invece emersi milioni di consumatori relativamente istruiti genera un processo involutivo».
Questo fenomeno ha molteplici cause, tra cui la gentrificazione – a Parigi la percentuale di quadri superiori (i lavoratori con mansioni elevate) residenti passa dal 24,7% del 1982 al 46,4% del 2013, fenomeni simili si notano a Bordeaux, Nantes, Strasburgo e Tolosa –, la fine del servizio militare obbligatorio per tutti, un impegno sempre maggiore nei partiti dei più ricchi e istruiti. Osservate quanto aumenta la percentuale dei quadri superiori tra i militanti del partito socialista tra il 1985 e il 2011, poco prima di andare al potere con François Hollande.
Fourquet parla apertamente di “separatismo” per le classi sociali più elevate, utilizzando un termine normalmente riservato ai quartieri più poveri e restii a integrarsi. D’altronde la frattura è fortissima: secondo un sondaggio Ifop dell’autunno 2017, i percettori dei redditi più elevati concordano per il 70% con l’idea che bisogna «trasformare la Francia per adattarla ai cambiamenti del mondo», mentre soltanto il 23% di loro pensa che «bisogna conservare la Francia così com’è».
Se consideriamo l’insieme della popolazione, la maggioranza dei francesi è d’accordo con la prima affermazione (56%), ma c’è una parte rilevante che invece vuole conservare la nazione così com’è: il 44%. Su tutte le questioni che riguardano il futuro del paese, e la traiettoria da prendere, quindi l’aspirazione che ogni cittadino nutre sulla Francia di domani, la società è spaccata, non trova un terreno comune, una dimensione ideale che può condividere.
In questo scenario, cosa rappresenta l’elezione di Emmanuel Macron nel 2017, se non una risposta alla parte più “elevata” della nazione arcipelago? Una sorta di «catalizzatore», scrive Fourquet, di tutte queste tendenze sottostanti.
Il grande risultato politico di questi cambiamenti, non è altro che la vittoria di un bipolarismo tra “alto” e “basso” che c’è sempre stato, ma era stemperato dal bipolarismo tra “destra” e “sinistra” relativamente trasversale tra tutte le classi sociali. Cosa rappresenta l’eruzione dei gilet gialli, se non la rabbia di una parte della popolazione che sente la propria “isola” contare sempre meno?
Perché vi ho parlato di tutto questo? Credo sia utile analizzare le tendenze di fondo della società francese per comprendere quanto accadrà nei prossimi mesi, e per capire come mai in questi anni abbiamo più volte sottolineato le difficoltà di Emmanuel Macron a governare un paese che in parte non si sente rappresentato né dalle sue politiche, né dalla sua persona, figlio di uno status sociale ben preciso. Il sistema politico-elettorale lo protegge, chi vince le elezioni presidenziali in genere domina il Parlamento grazie al doppio turno, ma questo contribuisce, in parte, ad allontanare le “isole” meno coinvolte nel processo decisionale.
Quasi due anni di pandemia hanno avuto un effetto evidente sulle paure dei francesi: tutti i temi citati dal sondaggio, che chiede quali siano le priorità da affrontare nei prossimi mesi, crescono. E quindi per i diversi candidati sarà più difficile affrontarli in modo coerente: l’arcipelago si aspetta più attenzione, accontentare e blandire tutte le isole sarà impossibile.
Consigli di lettura e fonti
In molti hanno recensito il libro di Fourquet, in particolare vi consiglio l’analisi di Françoise Fressoz sul Monde, di Caroline Vigoureaux su l’Opinion (che ne scrive a qualche mese dalla pubblicazione, e quindi fa un bilancio sull’impatto del saggio nel dibattito pubblico), di Jean-Louis Schlegel sulla rivista Esprit.
L’inchiesta di Libération sui “cattolici perduti”, e un’analisi di Eugénie Bastié sul Figaro, che affronta il tema della “creolizzazione” della società (a proposito di isole e isolette).
Non abbiamo ancora parlato di campagna elettorale, perché per ora non ci sono grandi notizie. Il centrodestra si sta però organizzando in modo un po’ macchinoso per scegliere il suo candidato, come racconta Loirent de Boissieu su La Croix. de Boissieu è un giornalista bravissimo con i dati oltre a essere una memoria storica degli ultimi 40 anni, vi consiglio di seguirlo su Twitter se vi divertono numeri, grafici e tabelle.
grazie mille per la super analisi, per me tanti punti sono simili all'Italia o lo saranno tra qualche anno, con la differenza che il doppio turno e il presidenzialismo creano in francia una guida forte anche se forse non veramente rappresentativa.
Grazie. Ma l’analisi di Forquet non può estendersi a vari paesi europei Italia in testa? Se non è un arcipelago l’Italia quale altro paese?