L’ecologia conta, gli ecologisti molto meno - Marat n. 12
I Verdi francesi hanno scelto il loro candidato grazie a delle primarie combattute, ma non riescono a imporsi come forza politica rilevante. Emmanuel Macron resta tra i più credibili sull’ambiente
Quanto contano le tematiche ambientali in Francia? Molto. Quanto contano gli ecologisti in Francia? Molto poco.
Lo scorso martedì, Europe Écologie les Verts ha scelto il proprio candidato alle presidenziali: con il 51,03% dei voti Yannick Jadot, figura molto nota e navigata della politica ecologista francese, ha sconfitto al secondo turno Sandrine Rousseau, partita come outsider ma capace di raccogliere il 48,97%, un risultato inaspettato.
Le primarie hanno mostrato una serie di elementi positivi: alta partecipazione (122.670 iscritti, un numero elevato se si considerano le primarie del 2011, quando votarono circa 33mila persone), uno scontro serrato e deciso per pochi voti, dibattiti televisivi ospitati dai principali canali del paese. In genere questo si traduce in un aumento dei consensi nei sondaggi e in una maggiore influenza mediatica, grazie a reportage e prime pagine dei giornali.
Non è accaduto nulla di tutto ciò: la politica ecologista è ancora minoritaria quando prova a competere per l’elezione presidenziale. Questo sondaggio è indicativo, perché mostra un sostanziale stallo del candidato del movimento che anzi perde un punto rispetto alla precedente rilevazione.
Sì, lo so che la vera notizia del sondaggio è il risultato di Eric Zemmour, che molti di voi probabilmente sentono nominare per la prima volta. Mentre leggete questa newsletter io sono in aereo per Parigi, dove mi fermerò tutta la settimana proprio per capire meglio questo fenomeno.
Daniel Boy, direttore di ricerca al Cevipof di Sciences Po e specialista dell’ecologismo politico, mi ha spiegato che la mancanza di dinamica di Jadot non è così sorprendente: «Osserviamo una distanza tra il trattamento mediatico, di tutto rispetto, e la dinamica dei consensi, che invece stagnano. Per adesso è passata l’idea che un ecologista possa governare un grande comune o addirittura una regione, ma non che un ecologista possa arrivare all’Eliseo. D’altra parte la vittoria di Jadot è comunque una novità: per la prima volta gli ecologisti hanno scelto un candidato che non intende soltanto partecipare, come accadeva in passato, ma una persona che sta impostando la sua campagna elettorale per provare a vincere. Prima i Verdi volevano essere presenti per condurre una battaglia di testimonianza, adesso l’ambizione è più grande».
Sembra strano, ma il sistema politico francese consente un ragionamento del genere. Una campagna presidenziale è un momento perfetto per portare al grande pubblico le proprie idee, grazie alla cassa di risonanza dei dibattiti televisivi e dei talk show che fanno registrare uno share molto alto, pur essendo obbligati a concedere un tempo di parola simile a tutti i candidati. Inoltre, chi supera il 5% dei suffragi espressi ha diritto al rimborso delle spese elettorali: può essere un momento per ricordare ai francesi che la politica ecologista esiste, pone delle questioni e delle soluzioni, senza perdere soldi. Una sorta di investimento.
Jadot stavolta può condurre una campagna meno legata alla testimonianza per una serie di ragioni. La prima è che dal 2017 a oggi gli ecologisti hanno ottenuto dei risultati elettorali di tutto rispetto: il 13,5% alle elezioni europee del 2019 e il 16,5% in media alle elezioni comunali del 2020 (in Francia tutte le città votano contemporaneamente), riuscendo a eleggere sindaci in grandi agglomerati urbani come Lione, Bordeaux, Grenoble e Poitiers. La seconda è che i grandi concorrenti dei Verdi, i socialisti, sono in crisi quasi irreversibile e quindi a sinistra c’è più spazio. La terza e ultima ragione la si intuisce (mi dispiace per la qualità dell’immagine, ma anche in originale è così) da questo sondaggio condotto dall’istituto Harris Interactive per il settimanale Challanges.
Il soggetto di preoccupazione principale per i francesi è il cambiamento climatico (primo posto al 52%), unito al futuro dei propri figli (secondo posto al 49%). Ho inserito questa rilevazione ma ne ho trovate molte altre simili condotte da altri istituti: il tema è senz’altro sentito come importante, i negazionisti rappresentano una minoranza quasi inesistente e non c’è discussione sul fatto che bisogna agire per invertire la tendenza.
Tuttavia, e qui sta la grande difficoltà politica degli ecologisti, quando i sondaggisti interrogano i francesi sulle priorità che guideranno il loro voto alle elezioni presidenziali, l’ambiente diventa improvvisamente meno rilevante. Al primo posto il potere d’acquisto (ne abbiamo parlato nel precedente numero di Marat), al secondo la delinquenza (un approfondimento di Marat ad aprile), poi il welfare, l’immigrazione, e soltanto dopo l’ambiente.
Perché c’è questa differenza? È ragionevole pensare che l’opinione pubblica mostri di essere cosciente dell’emergenza climatica, e allo stesso tempo ritenga che affrontarla non possa essere l’unico e più importante punto in agenda di un candidato all’elezione presidenziale.
Inoltre, la congiuntura economica conta, spiega Boy: «Quando l’inflazione aumenta, le bollette sono più care perché il prezzo dell’energia è esploso e si fanno i conti a fine mese, le persone non vogliono sentir parlare di sacrifici da affrontare, ma di come risolvere questo problema. Gli ecologisti non hanno ancora saputo sciogliere la contraddizione tra la necessità di cambiare il modello di sviluppo e l’impatto economico che questo può avere sulle famiglie».
In aggiunta, c’è un altro argomento rilevante in una competizione elettorale: l’ecologia non è un fattore identificativo a livello politico. Quando viene chiesto ai francesi come si identificano, soltanto il 9% dichiara di essere ecologista, il 19% si ritiene di destra, il 14% di sinistra, mentre il 28% di sentirsi un membro del popolo. Il dato interessante di questo sondaggio è che in molti citano l’ecologismo come secondo tratto identificativo (22%), a dimostrazione di quanto la protezione dell’ambiente sia sempre più un tema trasversale a tutte le forze politiche.
In questa copertina a lui dedicata nel numero di domenica 3 ottobre del Journal du Dimanche, Yannick Jadot è presentato come un possibile presidente “Verde”, ma sarà molto difficile per lui rendere identitaria una categoria che non lo è, almeno per la maggioranza schiacciante degli elettori. Il suo vantaggio è di essere un politico conosciuto per la sua moderazione e il suo pragmatismo, non è un ideologico né un radicale.
Non si fa notare per dichiarazioni fuori posto, insomma, al contrario di molti suoi compagni di partito, che hanno un problema di presentabilità. Come dicevamo, alle elezioni comunali del 2020, i Verdi hanno ottenuto ottimi risultati e conquistato città importantissime. Tuttavia, al posto di far parlare di sé per questioni legate ai successi amministrativi, hanno attirato l’attenzione per le continue dichiarazioni infelici.
Il sindaco di Lione Grégory Lucet, per esempio, ha dichiarato di non gradire il passaggio del Tour de France nella sua città perché «machista» e «inquinante», provocando un’ondata di critiche e prese in giro, alimentate poche settimane dopo da una dichiarazione del suo collega di Bordeaux contro gli alberi di Natale: «Non metteremo degli alberi morti nella piazza del municipio, non è il nostro concetto di vegetalizzazione», ha detto Pierre Hurmic. Lo scorso aprile il comune di Poitiers, guidato sempre da una sindaca ecologista, Léonore Moncond’huy, ha ritirato le sovvenzioni agli aéroclub locali, spiegando che «l’aereo non deve far parte dei sogni dei bambini», seguita dal gruppo ecologista di Vincennes (all’opposizione), che ha annunciato il voto contrario al rinnovo delle sovvenzioni per i club velici perché «inquinano».
Qui il video della dichiarazione di voto durante il consiglio comunale di Vincennes, abbastanza surreale
Sono episodi un po’ ridicoli e meno rilevanti rispetto al cambiamento climatico, ma contribuiscono alla percezione comune dell’elettorato, che considera i Verdi, per adesso, ancora troppo radicali e comunque incapaci di entrare in sintonia con le aspettative riposte nella figura del presidente della Repubblica. «Queste uscite rafforzano l’idea, comune in una parte di elettorato soprattutto nel centrodestra, che l’ecologia va benissimo, ma gli ecologisti no. Perché gli ecologisti, dicono i critici, hanno in mente un modello “punitivo”, “triste”, che presuppone una certa sobrietà in un paese che invece ama il piacere», ragiona Boy.
In questo contesto, in maniera piuttosto inaspettata, Emmanuel Macron continua a mantenere una percezione positiva verso chi ha a cuore la lotta al cambiamento climatico.
Il presidente è il secondo politico più credibile per affrontare i temi ambientali, poco dietro a Yannick Jadot. E questo nonostante la galassia ecologista non lo ami: a fine 2020, Greenpeace ha pubblicato un rapporto in cui giudica «catastrofico» il mandato di Macron per l’ambiente, sottolineando la promessa non mantenuta di chiudere tutte le centrali a carbone entro il 2022, e la decisione di rinnovare molte concessioni di ricerca degli idrocarburi fino al 2040.
Il ministro dell’Ecologia nominato nel 2017, Nicolas Hulot, a lungo tra i personaggi politici più popolari del paese e incarnazione simbolica dell’ecologismo ragionevole, aveva abbandonato il governo dopo soltanto un anno, spiegando di non poter fare ciò che riteneva giusto: «Non posso più mentire a me stesso». Un duro colpo per l’immagine di Macron tra l’elettorato più sensibile a questi, si pensava all’epoca, probabilmente a torto.
La storia dell’abbandono di Hulot è abbastanza particolare, le sue dimissioni sono avvenute in diretta, alla radio, senza alcun preavviso né ai giornalisti che lo intervistavano né al governo. «È serio?» chiede la giornalista Léa Salamé all’ormai ex ministro. Anche se non capite il francese, dall’espressione della giornalista intuirete la sorpresa e l’emozione.
Il primo ministro dell’epoca, Edouard Philippe, apprende la notizia grazie a un brevissimo sms di un suo amico: «Hulot!», senza capire a cosa si riferisse. Lo racconta in un documentario sulla sua vita politica, «Mon pote de Droite».
In questo contesto, per Yannick Jadot non sarà facile riuscire a condurre una campagna elettorale dinamica.
Consigli di lettura e fonti
Il ritratto di Yannick Jadot scritto da Libération: il pragmatico prende la sua rivincita. Nel raccontare la sua vittoria, l’Opinion si concentra sulla grande difficoltà che il candidato ha incontrato in questa competizione interna. Daniel Boy analizza invece le elezioni mettendo a confronto una serie di dati e sondaggi per capire quanto pesi davvero una forza politica ecologista.
Il Figaro traccia il bilancio della politica ecologista del presidente Macron, Greenpeace ne dà un giudizio molto critico, il Monde analizza il rapporto tra i francesi e l’ecologia, il Parisien ragiona sulle tante gaffes dei Verdi, e si chiede: quanto li danneggeranno alle presidenziali?
Il programma elettorale di Yannick Jadot riassunto dall’Huffington Post, il sito Reporterre, che tratta quasi esclusivamente di ambientalismo, ha raccolto in questa pagina molti articoli, analisi, interviste e sondaggi sulla corsa alle presidenziali degli ecologisti.