A destra tutta - Marat n. 22
Zemmour, Pécresse e Le Pen dominano i primi mesi di campagna elettorale, la sinistra non riesce a essere competitiva e quasi abbandona il campo
Mercoledì 8 dicembre, ore 9.13. La sindaca di Parigi e candidata alle presidenziali del Partito socialista Anne Hidalgo sale sulla carrozza numero 17 del Tgv che da Parigi porta a La Rochelle, dove alle 13.30 ha un pranzo con gli eletti locali del suo partito. Nel pomeriggio è attesa poco lontano, a Saint-Jean-d’Angély, per un piccolo comizio.
Alle 10.48, il treno entra nella stazione di Poitiers, fermata intermedia prima della destinazione finale. Di fretta, Anne Hidalgo abbandona la carrozza con il suo staff, scende dal treno, cambia binario, e sale sul primo Tgv in direzione inversa. Si torna nella capitale.
Ufficialmente, la ragione è l’attivazione del “piano bianco” negli ospedali di Parigi, che cominciano a essere affollati di malati Covid. Ufficiosamente, Anne Hidalgo sta rientrando nella capitale per lanciare una proposta, esclusa categoricamente fino a quella mattina stessa: le primarie tra i candidati di sinistra per scegliere un solo leader e presentarsi uniti alle presidenziali. È la mossa della disperazione di una candidata ormai stabilmente sotto al 5% nei sondaggi.
È soprattutto la risposta a un altro sondaggio, pubblicato la sera precedente, che registra l’ascesa di Valérie Pécresse, la candidata dei Républicains: per la prima volta non soltanto qualificata al secondo turno, ma data vincente contro Emmanuel Macron al ballottaggio. Durante il tg serale di Tf1, Hidalgo ha tre minuti per esporre la situazione, gravissima, della sinistra francese e chiedere agli altri candidati di trovare un percorso comune. Nessuno risponde positivamente, quasi a certificare che, a meno di quattro mesi dall’elezione, non c’è più nulla da fare. Meglio andare da soli, tanto l’elezione si gioca tutta a destra.
Dominique Reynié, presidente della Fondapol, la fondazione per l’innovazione politica, commenta e analizza da anni ciò che accade nella destra francese. In una lunga intervista al Figaro ha messo in fila dei dati che aiutano a comprendere come si muove l’elettorato, e perché in questo momento storico la sinistra è così in difficoltà.
O, ancora meglio, perché la sinistra è storicamente in difficoltà. La somma dei risultati al primo turno dei candidati di destra è sempre stata superiore al 50% tranne una volta, nel 1981, quando la percentuale si è fermata al 49,2%.
Dal 1965 a oggi, la media di questi risultati è del 56,7%, elevatissima. La destra è strutturalmente maggioritaria nel paese, e questo spiega come sia possibile che tre candidati di quest’area, Valérie Pécresse, Éric Zemmour, Marine Le Pen, gravitino ognuno attorno al 15%. Senza dimenticare Emmanuel Macron, che ha sedotto una parte di questo elettorato.
Osservando queste percentuali, è evidente l’influenza sempre maggiore della destra estrema: oggi la componente populista e sovranista rappresenta il 35% dell’elettorato, e il suo peso all’interno dello schieramento di destra sfiora il 70% dei voti.
Valérie Pécresse è partita da queste cifre per impostare i prossimi mesi di campagna elettorale, e ha trascorso la sua prima settimana da candidata tessendo laboriosamente la tela delle alleanze interne al partito: ha integrato nel suo staff persone vicine ai suoi sfidanti, e li è andati a trovare uno a uno nei loro feudi, in Provenza da Eric Ciotti, nella Savoia da Michel Barnier e nell’Île de France da Philippe Juvin.
Nella mattinata di venerdì 10 dicembre, a Lille, place Charles de Gaulle, c’è stato l’ultimo e più importante incontro, quello con Xavier Bertrand.
Accalcati nello spazio esterno del café Lys, i giornalisti attendono che i due politici escano per raccogliere le dichiarazioni. La selva di telecamere e microfoni restringe lo spazio e aiuta a tenersi caldi in uno spazio teoricamente attrezzato per l’inverno ma incapace di mantenere una temperatura sopportabile. La cerata che protegge i tavoli è sferzata dal vento e i rettangoli elettrici che dovrebbero riscaldare i presenti risultano inutili: l’aria fredda che entra dalle fessure porta via il calore prima che ce ne si accorga.
Dopo un’ora di colloquio, i due ex sfidanti escono dal café, sorridenti, uniti. Xavier Bertrand annuncia di stare al gioco e, per quanto deluso dalla sconfitta in un’elezione interna che reputava già vinta, appare sincero: «C’è una sola linea, ed è quella di Valérie Pécresse». Lei incassa e ringrazia: «Faremo questa campagna mano nella mano. Xavier sa che ho bisogno di lui».
Dopo la colazione, il corteo si sposta a venti chilometri di distanza, nella zona industriale della città, per una visita in un’azienda locale. Queste visite sono un’attività di routine nell’agenda dei candidati, che sfruttano questi momenti per raccogliere le preoccupazioni degli imprenditori e trasformarle in proposte, per tastare il polso dell’elettorato, stringere mani, farsi vedere in carne e ossa da chi troverà scritto il loro nome su una scheda elettorale.
È anche un modo per dare la possibilità alla stampa e ai fotografi ufficiali di catturare immagini dinamiche. Non solo, per gli staff è un’occasione per scambiare due chiacchiere con i giornalisti, lasciar passare qualche messaggio, testare quelli che in gergo vengono definiti éléments de langage, frasi da ripetere poi nei talk show per orientare il dibattito pubblico.
Pierre-Henri Dumont, deputato di Calais e sostenitore di Xavier Bertrand durante le primarie, mi spiega il percorso della candidata: «I sondaggi mostrano una tendenza: la speranza c’è, per la prima volta vediamo un secondo turno diverso da Macron contro Le Pen». Il punto, tuttavia, è che per arrivarci Valérie Pécresse deve convincere l’elettorato popolare, meno istruito e meno benestante, che tradizionalmente votava per il centrodestra moderato e che ha fatto la fortuna di Nicolas Sarkozy, mentre oggi è sedotto dal Rassemblement national.
Insieme ad altri tre giornalisti mi infilo nella Renault Clio di Pierre-Henri Dumont, che ci dà un passaggio verso la prossima tappa: «Scusatemi, la macchina è un disastro, ma ho dei biscotti da offrire!». Percorriamo il tragitto che dalla zona industriale ci porta alla Madeleine, di nuovo al centro di Lille, in una piccola sala allestita per il comizio di Valérie Pécresse. È un’altra occasione per discutere liberamente di politica e per ragionare sulla direzione che prenderà la campagna elettorale, in particolare su cosa faranno gli elettori di sinistra, senza un candidato competitivo. E se Valérie Pécresse riuscisse a recuperare qualche consenso anche da lì?
L’equilibrio è difficile, anche perché la priorità è comunque sedurre la destra: «Sono una donna d’ordine, e sono l’unica in grado di battere Macron», dice di fronte ai militanti riuniti nella sala, completamente piena nonostante sia un venerdì lavorativo.
È ai francesi che non si riconoscono nel presidente e vogliono una candidata competitiva che bisogna parlare, continua Dumont: «La strada è lunga, adesso dobbiamo consolidare ciò che già abbiamo, gli elettori più benestanti e i pensionati, per “passare l’inverno” e collocarci stabilmente sopra il 15%. Poi va aggregato l’elettorato popolare, rurale e periurbano. Persone che non si interessano molto alla politica e che non sono per forza vicine alla destra, ma possono sceglierla se si riesce a essere credibili nei loro confronti».
Il più grande limite di Valérie Pécresse è il carisma. Non è un animale da comizio, è poco efficace durante i discorsi pubblici e non ha un rapporto carnale con il suo popolo, come invece accade ad altri politici. Non è un dettaglio da sottovalutare: l’elezione presidenziale francese è l’unica nel mondo occidentale che prevede un incontro solitario tra i candidati e il popolo. Non c’è ticket con un vicepresidente, non ci sono grandi elettori, non ci sono collegi elettorali. Ci sono i francesi e di fronte a loro un palco su cui salgono, in solitaria e a volte tutti insieme, i candidati.
Il punto di forza di Pécresse è la preparazione, la capacità tecnica: conosce bene i dossier, può vantare una lunga esperienza di governo nazionale (ha fatto per due volte il ministro) e locale (governa l’Île de France, la regione più abitata e ricca di Francia, dal 2014). Potrebbe essere favorita dall’emergenza Covid: se i contagi aumentano, i comizi e le occasioni di incontro dal vivo diminuiscono, mentre gli studi televisivi, la radio e i dibattiti assumono più rilevanza. È in questi contesti che riesce a sfruttare al meglio le sue competenze.
La sera prima del piccolo tour di Valérie Pécresse, quasi 3 milioni di francesi (15% di share) hanno guardato in televisione il dibattito tra Éric Zemmour e il ministro dell’Economia, Bruno Le Maire. Segno dell’interesse che suscita il polemista, che continua a parlare in modo incisivo all’elettorato dei Républicains: il 62% di chi si dichiara simpatizzante del centrodestra moderato ha apprezzato la sua prestazione televisiva.
Ho incontrato Stanislas Rigault lo scorso ottobre, in un café vicino alla tour Eiffel. Volevo capire chi fosse il capo di Génération Z, i giovani che contribuiscono alla campagna di Zemmour, organizzano riunioni per attrarre i loro coetanei, poco interessati alla politica ma affascinati dal candidato estremista. Durante la nostra chiacchierata, Rigault ha ripetuto ciò che in questi mesi dicono molti protagonisti della campagna elettorale: «Le presidenziali si vincono a destra».
È vero, ma quanto piace alla destra moderata ciò che è accaduto durante il comizio di Zemmour? Domenica 5 dicembre, più di diecimila persone hanno riempito il Parc des expositions, un’enorme struttura a nord di Parigi, per ascoltare il primo comizio del polemista da candidato ufficiale.
Non tutti i candidati hanno la forza di attrarre una folla del genere a più di quattro mesi dalle elezioni e in pieno aumento dei contagi.
Tuttavia, grandi eventi presuppongono grande organizzazione.
Alcuni militanti dell’associazione Sos Racisme, che avevano preparato un’azione di disturbo pacifica al centro della sala, sono stati aggrediti in modo brutale dal pubblico, come mostrano queste immagini. Dopo alcuni minuti di tafferugli, il servizio d’ordine è riuscito a riportare la calma.
Nei giorni successivi la stampa francese ha identificato diversi membri estremisti neonazisti tra gli aggressori, un dettaglio immediatamente ripreso dagli avversari del polemista: «La questione è molto semplice: non si può dire di voler ristabilire l’ordine nel paese se non si è capaci di tenerlo durante un proprio comizio», sorride sarcasticamente Pierre-Henri Dumont mentre guida la sua Renault Clio.
Consigli di lettura e fonti
Il racconto di cos’è accaduto sul Tgv tra Parigi e La Rochelle e delle ore successive, dal Figaro, da BfmTv, da France Info.
Valérie Pécresse può battere Macron? Il Figaro Magazine dedica la storia di copertina di questa settimana alla domanda, Paris Match spiega perché l’Eliseo è molto preoccupato dall’ascesa della nuova candidata. La lunga intervista al Figaro di Dominique Reynié sullo stato dell’opinione pubblica francese e la grande influenza della destra.
Zemmour/Le Maire, un dibattito che accontenta entrambi, secondo l’Opinion, Le Monde si concentra su Olivier Ubéda, direttore di campagna e factotum di Éric Zemmour, a cui dedica un lungo ritratto.