La campagna senza comizi - Marat n. 24
Il 24 dicembre la Francia ha registrato più di 100mila contagi, i candidati si preparano a un’elezione senza bagni di folla. La regina sarà probabilmente la televisione
I grandi bagni di folla non sono un residuo del Novecento, ma la scena principale dei quattro o cinque mesi di campagna elettorale in cui si forma la scelta. Nel 2022 potrebbero non essercene molti, a giudicare dai 100mila contagi registrati in Francia il 24 dicembre, una crescita esponenziale che rende ormai insicuro tenere insieme decine di migliaia di persone in un luogo chiuso durante i prossimi mesi invernali. I candidati stanno cominciando a fare i conti con un’eventualità presente da sempre ma finora considerata poco probabile: una campagna elettorale pesantemente condizionata dal Covid.
In un’elezione tutta centrata sulla figura del candidato non è un dettaglio da poco.
Il primo tempo del comizio è contraddistinto dall’attesa. Mentre dietro le quinte gli addetti ai lavori controllano febbrilmente che le luci siano posizionate per illuminare alla perfezione il candidato da ogni angolazione, che i microfoni siano calibrati al punto giusto da non distorcere la voce nemmeno quando il candidato la alzerà per incitare i suoi sostenitori, che i maxischermi risultino sincronizzati per evitare quell’orrendo effetto di ritardo, l’afflusso di persone, bandiere e cartelli prende la scena: un piccolo mare ordinato occupa le sedie preparate in anticipo, pensate per canalizzare la folla, costringerla a stare vicina. Il pubblico siede e diventa parte integrante della scenografia.
Il secondo tempo è del candidato. Le mani che battono, le persone che scandiscono il suo nome, le luci abbaglianti che lo avvolgono rendendogli impossibile scrutare tutta la sala, che però lo vede, ha occhi e orecchie soltanto per lui. Non tutto è razionale, non tutto è calcolato: nei comizi esiste qualcosa di immateriale, complesso da definire: l’elettricità che si sprigiona spinge i presenti a parlarne nelle settimane successive, motiva gli staff, alimenta il passaparola, può fare la fortuna del candidato nei sondaggi.
Le immagini, controllate dall’organizzazione e girate ad arte per enfatizzare la prossimità tra il candidato e il suo pubblico, sono messe a disposizione dei canali televisivi affamati di contenuti per riempire il palinsesto, invadono i social, entrano nell’immaginario dell’elettorato.
Così, il 5 dicembre, a Villepinte, in mezzo a oltre diecimila persone, pensavo di assistere al primo grande comizio per le presidenziali. E invece, quello di Éric Zemmour rischia di essere uno dei pochi che vedremo. Una settimana dopo Valérie Pécresse, appena designata come candidata dei Républicains, il centrodestra moderato, doveva anch’essa riunire diverse migliaia di persone a Parigi. Ma l’evento è stato annullato a causa dell’aumento dei contagi. Una decisione responsabile, ho pensato. Riguardandola oggi, sembra invece una decisione obbligata.
I francesi hanno un atteggiamento comprensibile: più sentono parlare di Covid, meno ascoltano. Come tutti noi, sono stanchi. Lo scorso ottobre, secondo il sondaggio mensile dell’Istituto Ipsos, che interroga 16mila persone in collaborazione con Le Monde, la fondazione Jean-Jaurès e il centro studi Cevipof di Sciences Po, i primi tre stati d’animo citati da francesi sono stati rassegnazione, stanchezza, inquietudine.
È difficile prevedere in che modo questi sentimenti influiranno sul voto, immaginando che con questa nuova ondata aumenteranno ancora. Abbiamo tuttavia una sola certezza: le campagne elettorali servono a convincere gli elettori, a influenzare le loro scelte. Vista la grande indecisione, lo spazio c’è.
In questo contesto, non avere comizi cambia la dinamica di scelta. Spesso il pubblico non è totalmente acquisito, ma è composto da persone che stanno prendendo in considerazione di votare per il candidato ma hanno bisogno di una conferma. Hanno bisogno di vedere se incarna la funzione.
Nel 2012, Nicolas Sarkozy ha quasi rimontato il suo svantaggio grazie a grandissime riunioni pubbliche organizzate una dietro l’altra: con una dimostrazione di forza dopo l’altra esibiva la propria competitività, recuperando quasi 4 punti tra primo e secondo turno.
Il suo rivale, François Hollande, lanciò lo slogan che gli permise di connotare la campagna elettorale proprio durante un comizio: «Il mio avversario è la finanza!», disse sotto scroscianti applausi della platea socialista, che tornò a casa dal comizio pensando «possiamo farcela».
I grandi comizi sono stati una variabile rilevante per Emmanuel Macron, che riusciva a portare nei palazzetti un pubblico curioso ma non necessariamente già convinto, e si rivelò come candidato vero a dicembre 2016, quando riuscì a riunire più di 15mila persone a Porte de Versailles, a Parigi.
Jean-Luc Mélenchon organizzò un vero e proprio colpo a sorpresa nel 2017, quando, durante un discorso a Lione, schioccò le dita e comparve, in ologramma, a Parigi, riuscendo a entrare prepotentemente in campagna elettorale e ottenendo alla fine il suo miglior risultato di sempre.
Oggi le riunioni pubbliche sono diventate anche un rompicapo giuridico. Non è possibile limitare la partecipazione agli eventi politici come invece è stato fatto per i ristoranti, bar, teatri, cinema. Si possono soltanto imporre delle regole sul numero massimo di partecipanti, niente più: per rendere obbligatorio il green pass serve una legge apposita, che il governo non intende emanare.
Éric Zemmour, Jean-Luc Mélenchon e Marine Le Pen sono contrari al green pass, che ritengono «inutile», e non lo chiedono a chi partecipa ai loro eventi pubblici. Il partito socialista, En Marche e i Républicains, invece, hanno deciso di renderlo obbligatorio per accedere ai loro eventi, pur sapendo che non avrebbero alcun potere legale per impedire l’accesso a chi ne fosse sprovvisto.
In questo contesto, la vera regina dei prossimi mesi sarà probabilmente la televisione. Il piccolo schermo è sempre stato importante, molto più dei social media, che si autoalimentano all’interno di bolle. Ma non è mai stato l’unico luogo in cui si fabbricano i momenti iconici della campagna. È una novità benvenuta per i candidati minori come Fabien Roussel, candidato del Partito Comunista, che è stato intervistato durante il telegiornale delle 20 di France 2 il 14 dicembre di fronte a 4 milioni di telespettatori. E per quelli meno abituati ai grandi bagni di folla ma capaci di sostenere un dibattito televisivo, come Valérie Pécresse.
Porta a porta, passeggiate nei mercati locali, strette di mano e incontri a distanza ravvicinata passeranno in secondo piano. Sarà tutto più algido e meno coinvolgente.
La crisi sanitaria potrebbe allungare ancora i tempi di annuncio della candidatura di Emmanuel Macron: difficile immaginare una sua dichiarazione a gennaio, in piena nuova ondata. L’emergenza sanitaria potrebbe diventare il principale tema di dibattito, cambiando di molto l’atteggiamento dell’elettorato.
Come abbiamo già avuto modo di notare, un grande motore della politica francese degli ultimi anni è stata la volontà di destituzione. Nessun presidente è stato rieletto dal 2002, da quando il mandato dura 5 anni, le primarie interne ai partiti incoronano quasi sempre lo sfidante meno accreditato, l’elettorato tende a eliminare. In realtà il meccanismo è ancora più profondo: nessuno è stato rieletto governando.
Dopo Charles de Gaulle ci sono stati sei presidenti: Georges Pompidou è morto durante il mandato, Valéry Giscard d’Estaing e Nicolas Sarkozy non sono stati rieletti, François Hollande non ci ha nemmeno provato.
François Mitterrand e Jacques Chirac sono stati invece rieletti in circostanze particolari. Il loro mandato durava ancora sette anni, mentre quello del Parlamento cinque, una diversa temporalità che creava il fenomeno della cohabitation: un presidente di un partito, un primo ministro e una maggioranza di un altro.
Quando hanno chiesto un secondo mandato hanno dunque potuto impostare la loro campagna elettorale dall’opposizione, dando la possibilità ai francesi di “destituire” il primo ministro, vero responsabile del governo.
Se la crisi dovesse perdurare il riflesso legittimista potrebbe aiutare il presidente uscente: non si cambia il timoniere durante una tempesta. Col rischio che in molti decidano di non partecipare, come già accaduto alle elezioni regionali dello scorso giugno.
Consigli di lettura e fonti
La campagna ha preso il Covid: tutti lo temevano, nessuno lo voleva. l’Opinion e il Monde hanno dedicato al tema due lunghi articoli.
Il Figaro si chiede quanto peserà la situazione sanitaria sulla strategia dei candidati, per Paris Match molto sarà deciso durante i dibattiti tv, importanti nel 2017, pesantissimi nel 2022.