La nuova “moderata” Marine Le Pen - Marat n. 30
È la campagna più difficile della sua carriera, ma l’estremismo di Zemmour può andare a suo vantaggio. A Reims, davanti a tremila persone, gioca la carta del racconto personale
Seduta in sala stampa, con una trentina di giornalisti ai suoi lati, seduti anch’essi con i loro bloc-notes e computer per prendere appunti, Marine Le Pen sorride e scherza, ostenta buonumore. È obbligata, deve far passare il messaggio che la qualificazione al secondo turno non è solo possibile, è naturale, anche se il contesto rispetto al 2017 è cambiato, ed è più complicato. Mancano due mesi al primo turno delle elezioni presidenziali, in una campagna elettorale che non ingrana, fatica ad appassionare i francesi. E la sua posizione di sfidante di Emmanuel Macron, che non ha ancora annunciato ufficialmente la sua candidatura e quindi non partecipa alla contesa, è seriamente messa in discussione dai due rivali che pescano nello stesso grande elettorato di destra: Éric Zemmour e Valérie Pécresse.
Così, per il primo grande evento del 2022, Marine Le Pen sceglie Reims, «la culla della Francia», per convocare la sua “convenzione presidenziale”: circa tremila persone sono arrivate da tutto il paese per trascorrere una giornata insieme nella enorme sala allestita al parco delle esposizioni, dove ogni regione ha il suo stand che vende specialità locali, souvenir, gadget del partito. Una sorta di fiera dove si può trovare di tutto, dalle ostriche della Nuova Aquitania a una boccetta di acqua di Lourdes, disponibile per soli due euro al banco dell’Occitania.
A duecento chilometri di distanza, nelle stesse ore, Éric Zemmour parla di fronte a circa seimila persone, a Lille, in un grande evento pensato proprio per oscurare quello della rivale. Il suo nome ritorna nelle chiacchierate dei militanti del Rassemblement national, seduti ai tavoli di legno in attesa delle 17, orario previsto per l’inizio del comizio di Reims. Il polemista sta cercando di «inquinare» la campagna di Marine Le Pen, dicono i lepenisti, preoccupati dalle intrusioni del suo entourage che avvicina senza sosta quadri ed eletti locali del Rassemblement national per convincerli ad aderire a Reconquete!, il suo movimento. Non senza successo.
Zemmour sta conducendo una campagna che ricorda il Front national delle origini, quello di Jean Marie Le Pen, con delle posizioni relativamente liberiste in economia e una certa propensione alle provocazioni e alle gaffes. Un posizionamento che attira «qualche nazista», attacca Marine Le Pen, invitando il suo rivale «a fare pulizia» nel suo movimento come lei ha fatto in questi anni. Molte persone che partecipano alla campagna di Zemmour, dicono dal Rassemblement national, sono stati espulsi dal partito proprio perché impresentabili e pericolosi: tutti i candidati dovrebbero lavorare per «marginalizzare» queste persone. Un invito che può sembrare paradossale dal partito di estrema destra per eccellenza, ma che corona una strategia portata avanti lentamente da quindici anni.
Le Pen è ancora percepita come estremista da una parte rilevante dell’elettorato, ma Zemmour contribuisce a normalizzarla, a renderla più presidenziabile e accettabile. I lepenisti ripetono che la candidatura di Zemmour divide, e alimenta le fratture di un paese in cerca di unità: «Non ci presentiamo alle elezioni per difendere il villaggio di Asterix e Obelix, l’idea di vivere in un paese assediato, circondato, che si chiude verso se stesso non è la nostra».
Louis Aliot, sindaco della pirenaica Perpignan e vicepresidente del partito, si dice convinto che Zemmour non punti a queste presidenziali, ma a ciò che verrà dopo, a costruire un nuovo movimento nazionalista. Anche Thierry Mariani, deputato europeo e candidato sconfitto alle elezioni regionali in Provence-Alpes-Côte-d’Azur lo scorso giugno, sottolinea la profonda differenza tra la candidata del Rassemblement national e il polemista: «Non giochiamo la stessa partita, lui gioca per avere un’influenza il giorno dopo le elezioni, noi giochiamo per vincere adesso», prima di soffermarsi sul pericolo rappresentato da Zemmour: «Il punto non è vincere la guerra civile, ma evitarla».
Sabato mattina, dal quartier generale di Valérie Pécresse, arriva un aiuto inaspettato. L’entourage della candidata dei Républicains fa filtrare alla stampa una lista di quindici persone con ruoli importanti nella campagna elettorale di Éric Zemmour. Il documento, pubblicato dal settimanale Le Point e destinato a nutrire gli interventi dei Républicains contro il polemista, si intitola «I simpatizzanti nazisti di Éric Zemmour», accusato di essere «il candidato della fusione delle destre estreme, il punto di convergenza di militanti e gruppuscoli radicali. A meno di due mesi dal primo turno, Éric Zemmour ha ricevuto il sostegno della maggior parte delle formazioni di destra radicale, marginalizzate o escluse dal Front national: dal partito della Francia, partito neofascista che conta numerosi skinhead tra i suoi membri, ai militanti identitari ed ex militanti neopagani».
Malgrado l’ottimismo e i passi falsi del suo rivale più pericoloso, che alimenta i riferimenti estremisti e continua a spaventare la maggioranza dei francesi, Marine Le Pen sa che la sua terza campagna presidenziale è la più complicata, e i classici discorsi incentrati su sicurezza, immigrazione, difesa dell’identità nazionale non bastano più. Né basta attaccare Emmanuel Macron, «una macchina artificiale e fredda», designandolo come suo «unico avversario», per arrivare al secondo turno.
Così, dopo un’ora di comizio, Le Pen si ferma, lascia il piedistallo, e avanza verso la folla, fermandosi al limite del palco: «Concedetemi qualche minuto per parlare di me stessa», dice, senza più appunti, andando quasi a braccio, guardando ogni tanto sul secondo gobbo fatto preparare appositamente per il colpo a effetto del suo discorso, tenuto nascosto alla stampa a cui era stato distribuito il testo espunto di questa ultima parte.
In circa dieci minuti, la candidata del Rassemblement national racconta la sua storia, ricorda emozionata l’attentato subìto dalla sua famiglia quando aveva nove anni, parla delle difficoltà di crescere i figli da sola, delle «cicatrici» che testimoniano la sua crescita personale, con un piccolo cenno alla sua fede: «C’è chi crede al cielo e chi non ci crede. Io ci credo». È una carta che non aveva mai giocato, rifiutando per anni di inserire una narrazione personale nei comizi, interpretati come momenti solenni e poco adatti a parlare di sé. Stavolta è diverso: «Il temperamento, il percorso di chi sceglieranno i francesi, è determinante», dice Marine Le Pen. Un modo per marcare la differenza con Zemmour, giudicato come violento e rabbioso, incapace di unire un paese «profondamente fratturato».
Era un rischio, perché è sempre possibile che il racconto personale suoni artificiale quando arriva da un politico. Ma è la vera novità di una personalità politica che struttura il sistema francese da 15 anni, è già arrivata al secondo turno dell’elezione presidenziale, ed è assediata per la prima volta da candidati che, alla sua destra e alla sua sinistra, possono rubarle lo scettro dell’opposizione a Emmanuel Macron.
Poco prima del suo discorso, i volti dei più importanti politici nazionalisti europei sono comparsi nei maxischermi della sala. Ci sono, tra gli altri, Matteo Salvini e l’olandese Geert Wilders, quasi a ricordare che sì, qualche passo verso la moderazione è stato fatto, ma il sovranismo e il nazionalismo sono ancora lì, in bella mostra. Soprattutto, arriva il faccione del primo ministro ungherese Viktor Orbàn, un sostegno importante per Marine Le Pen, che temeva la concorrenza di Zemmour anche sulle sue alleanze internazionali. È la seconda ottima notizia che arriva dall’Ungheria questa settimana: il Rassemblement national, infatti, ha ottenuto un prestito di 10,6 milioni di euro da una banca ungherese dopo mesi di porte chiuse dalle banche francesi, che non prestano soldi al partito. «È un sospiro di sollievo, possiamo fare campagna come previsto nei prossimi due mesi», sorridono i lepenisti.
I soldi servono a finanziare eventi come questo e la campagna di prossimità che vuole condurre il Rassemblement national fino al primo turno. Da Reims sono partiti tredici autobus che gireranno tutta la Francia in un’operazione battezzata «5000 mercati» per convincere gli indecisi che stavolta Marine Le Pen può farcela. Una campagna di basso profilo rivendicata, mi spiegano dallo stato maggiore di Le Pen: «Faremo pochi grandi comizi, probabilmente uno a Marsiglia e uno a Parigi quando ci avvicineremo al primo turno. Poco di più. C’è ancora il Covid, meglio organizzare riunioni più piccole nei paesini dove gli altri candidati non passano perché lo considerano una perdita di tempo: costa meno e Marine è più a suo agio. Anche alle elezioni europee abbiamo fatto così e ha funzionato, molti mercati, molti incontri con i francesi, molti voti».
Un modo per provare a risvegliare la Francia profonda, vero serbatoio elettorale a cui punta il Rassemblement national, preoccupato dalla possibile astensione, come conferma Louis Aliot a margine dell’evento: «I francesi non sono ancora entrati in campagna, e questo mette in difficoltà tutti i candidati. Noi stiamo lavorando per mobilitare il nostro elettorato, è il primo obiettivo delle prossime settimane».
Non è l’unica preoccupazione. Per essere ammessi, i candidati alle elezioni presidenziali devono raccogliere 500 firme (parrainages) tra deputati, senatori, eurodeputati, sindaci, consiglieri comunali di Parigi e Lione, consiglieri regionali, e altri pochi eletti locali (la lista completa è qui). Si tratta di circa 42mila persone, non facili da convincere: le firme sono pubbliche, e i sindaci (34mila), eletti spesso con liste civiche, sono piuttosto restii a essere associati a un candidato.
Per il Rassemblement national, raccogliere le firme è sempre stato complicatissimo. Finora Marine Le Pen ha raccolto 35 parrainages, e ha più volte ammesso il rischio di non raccoglierne a sufficienza prima della data limite del 4 marzo, giorno ufficiale di deposito delle candidature. Rispetto al 2017, il Rassemblement national ha perso 100 eletti, molto utili quando bisogna raccogliere le firme. È uno degli effetti del fallimento della strategia di diventare un partito veramente radicato sul territorio: Le Pen resta la leader di un movimento fortemente centralizzatore che ha grosse difficoltà a lasciare emergere la classe dirigente dalle città e dalle province più lontane dalla capitale.
Ciononostante, i lepenisti ci credono. Valery Elophe, delegato dipartimentale del partito in Corrèze e consigliere regionale del Rassemblement national in Nuova Aquitania, gestisce le due friggitrici che sfornano patatine fritte, tra i piatti più richiesti della giornata. Tra una frittura e l’altra, mi spiega che Marine Le Pen ha lavorato molto in questi anni, e che non ripeterà il dibattito disastroso come quello del 2017 contro Emmanuel Macron: «Il progetto è solido, Marine ha lavorato molto sui dossier, è preparata. È pronta», dice.
Un’impressione abbastanza condivisa dai militanti che affollano i tavoli della “sala dei villaggi”: molti si conoscono da anni, si incrociano a ogni presidenziale e analizzano insieme la situazione. Alcuni scherzano, ringraziando Zemmour: «Finalmente c’è qualcun altro che si prende del fascista!», dice Jean-Jacques, arrivato con la moglie da Bordeaux. La sociologia è tipica dell’elettorato marinista: piccoli commercianti, funzionari di livello intermedio, qualche pensionato. Non è il 2017, quando la candidata del Front national era partita sfiorando il 30% nei sondaggi e l’accesso al secondo turno sembrava scontato, eppure l’ambiente è rilassato. Come se il ritrovarsi insieme fosse un valore in sé e una delle prime funzioni di un partito politico, messa a dura prova da due anni di pandemia.
Consigli di lettura e fonti
L’articolo del Point, che riporta il dossier sull’entourage estremista di Éric Zemmour, la lunga intervista di Marine Le Pen al Figaro, in cui sono contenute accuse simili, sempre sul Figaro, il sondaggista Frédéric Daby analizza quali sono i rischi per la candidata del Rassemblement national.
Un lungo racconto della settimana complicata di Marion Maréchal, nipote di Marine Le Pen ma tentata da Éric Zemmour, un sondaggio molto interessante di Odoxa, che compara i due candidati estremisti (e il polemista non ne esce benissimo).
Il Monde analizza le mosse dei candidati e dei loro entourage per il dopo presidenziali, un momento fondamentale che definirà gli equilibri politici dei prossimi 5 anni.