Soldi, soldi, soldi - Marat n. 27
I candidati raccolgono fondi per la campagna elettorale, ma alcuni sono in difficoltà: le banche non fanno credito facilmente, e trovare donatori è complicato
La prima cosa che si nota, entrando nella sala principale del Parc des Expositions, oltre alla folla accalcata sotto al palco, sono i due stand di fortuna allestiti dai militanti di Éric Zemmour. Facilmente riconoscibili grazie alla maglietta bianca con una grande Z, mezza blu e mezza rossa, disegnata sulle spalle, i volontari cercano di smaltire velocemente la fila di chi vuole comprare un souvenir. 14,90 euro per una maglietta, stessa cifra per un berretto e una tazza, 2,90 euro per un accendino e 1,90 euro per una penna. Chi vuole comprare una maglietta “made in France” deve spendere qualcosa in più, 24,90 euro.
«Ha trovato i soldi!», esclama un collega francese commentando la messa in scena, gli enormi maxischermi che trasmettono in diretta il discorso del candidato, la quantità di bandiere distribuite, la sicurezza che deve gestire circa diecimila persone. Alla fine del comizio, tra il palco e l’uscita, i volontari cercano di intercettare più persone possibile per convincerle ad aderire al nuovo partito di Zemmour, Reconquete!. Il costo per aderire è relativamente elevato: 30 euro per un’iscrizione singola e 50 per un’adesione di coppia, 50 euro per un membro “sostenitore”, 100 euro per un membro “benefattore”, 10 euro per i giovani con meno di trent’anni.
D’altronde fare campagna elettorale costa. Il comizio di Zemmour del 5 dicembre è costato circa 550mila euro, a cui vanno aggiunti gli stipendi dei membri del comitato elettorale, i viaggi, i sondaggi interni, i volantini, i manifesti e tutte le altre spese necessarie per sostenere la corsa del candidato. Nel 2017, Emmanuel Macron spese 5,8 milioni di euro per organizzare comizi, Marine Le Pen 4,9 milioni. È quasi certo che la pandemia ridurrà questi costi, perché di comizi in così grande stile ce ne saranno pochi, ma la questione finanziaria preoccupa tutti i candidati.
Il sistema funziona così. Prima di ogni elezione presidenziale, lo Stato fissa un limite massimo di spesa che ogni candidato non può superare (quest’anno è di 16.851.000 euro per il primo turno, 22.509.000 euro per i due candidati che arrivano al secondo) e si impegna a rimborsare fino al 47,5% del limite massimo di spesa a chi supera il 5% di voti al primo turno. Per chi arriva sotto la soglia del 5%, lo Stato rimborsa invece il 4,75% del tetto massimo. Insomma, se si spende meno del 47,5% dei 16 milioni di euro previsti, la campagna elettorale è di fatto a costo zero. Non solo, lo Stato versa un anticipo di 200mila euro a ogni candidato nel momento in cui sono ufficialmente depositate le candidature.
La legge è molto generosa ma, tolti i 200mila euro di “acconto”, non è possibile fare affidamento sullo Stato finché l’elezione non si è svolta: chi organizza la campagna elettorale deve dunque trovare molta liquidità per far fronte alle spese, che lievitano con il passare dei mesi. Non tutti ne sono provvisti.
Il 12 dicembre, intervistata da RMC, Marine Le Pen ha ammesso di essere in difficoltà nel reperire nuovi finanziamenti. «Nous galérons», ha detto, un’espressione intraducibile che indica dover affrontare una serie di seccature. La leader del Rassemblement National cerca da tempo di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema. A inizio settembre aveva anche scritto una lettera al presidente Macron, chiedendogli di intervenire per risolvere il «problema democratico» dei candidati in difficoltà finanziaria.
Ciò può accadere perché le regole sono piuttosto stringenti: soltanto le banche possono prestare ai candidati. L’attività è vietata alle persone fisiche, a cui è consentito effettuare solo donazioni fino a un massimo di 4.600 euro, a condizione che siano francesi o residenti in Francia. Alle aziende, invece, è vietata qualunque forma di contribuzione, diretta o indiretta. I partiti politici, che ottengono finanziamenti pubblici annuali secondo i loro risultati alle elezioni legislative, possono anch’essi finanziare i candidati (senza limiti di spesa), e possono raccogliere donazioni da persone fisiche fino a 7.500 euro all’anno. Nei due anni fiscali in cui vengono contati i fondi per le presidenziali (in questo caso 2021 e 2022), la stessa persona può dunque donare fino a 19.600 euro: 15.000 euro al partito, 4.600 euro al candidato.
Per evitare ingerenze straniere, dal 2017 non è possibile rivolgersi a istituti di credito con sede al di fuori dell’Unione europea, escamotage utilizzato da Marine Le Pen nel 2014 quando, per finanziare le attività del suo partito, ottenne un prestito di 9 milioni di euro da una banca russa, la First Czech Russian Bank. Malgrado questo credito, il Front National ebbe grosse difficoltà a trovare liquidità per affrontare la campagna del 2017, e fu costretto a chiedere finanziamenti a Cotelec, il micro partito di Jean-Marie Le Pen, padre di Marine.
Il motivo è che le banche francesi sono tradizionalmente restìe a concedere linee di credito ai candidati più estremi, per paura di un danno d’immagine, ma in generale preferiscono non rischiare troppo: riottenere la somma da un candidato che non raggiunge il 5% dei suffragi può rivelarsi quasi impossibile.
Il divieto di prestito da persone fisiche ha creato un piccolo problema anche a Éric Zemmour. A settembre l’associazione les amis d’Éric Zemmour ha ricevuto un prestito di 300.000 euro dal finanziere Charles Gave, ma il candidato non può utilizzarli perché è appunto vietato. Può utilizzarli l’associazione, ma per delle attività che non sono riconducibili direttamente alla campagna presidenziale. Il polemista, come Marine Le Pen, ha chiesto prestiti a diverse banche, senza per adesso ottenere nulla.
Gli altri candidati sono invece meno preoccupati. La France Insoumise, il partito di Jean-Luc Mélenchon, ha annunciato di aver ottenuto 5 milioni di euro dal Crédit Coopératif, istituto che ha deciso di finanziare anche i Verdi, che hanno chiesto un prestito di 6,2 milioni di euro. I Républicains, con la loro candidata Valérie Pécresse, non hanno ancora annunciato con chi concluderanno il prestito, ma intendono chiedere 5 milioni di euro, mentre La République en Marche, secondo il suo tesoriere Laurent Saint-Martin, dovrebbe chiederne il doppio.
In ogni modo, la regola attuale è criticata da tutti. Un rapporto comune scritto da La République en Marche e dai Républicains ha proposto la creazione di una sorta di “banca della democrazia”, che potrebbe prestare i soldi ai candidati liberandoli dalle difficoltà dei rapporti con i normali istituti. Una proposta sostenuta anche dal Rassemblement National e dai Modem di François Bayrou, il principale alleato di Macron. Insomma, concordano quasi tutti i partiti, ma a meno di tre mesi dalle elezioni presidenziali il progetto è ancora molto vago e difficilmente diventerà operativo in tempo utile.
Nel 2017, il partito di Macron aveva puntato moltissimo sulle donazioni private, riuscendo a raccogliere circa 15 milioni di euro, un record, grazie a circa 99 mila donazioni. Una strada simile a quella seguita anche da Éric Zemmour, che secondo la radio Europe 1 avrebbe già raccolto 9 milioni di euro: un dato sorprendente, visto che a metà dicembre un consigliere dello stesso Zemmour, intervistato dal Point, dichiarava che erano stati raccolti non più di 2 milioni di euro. Le poche informazioni che filtrano dai comitati elettorali e le difficoltà riscontrate da alcuni candidati nell’ottenere prestiti bancari rendono da tempo il finanziamento un argomento al centro del dibattito elettorale. Alcuni provano a giocare sulla trasparenza, come Jean-Luc Mélenchon, che ha deciso di aggiornare quotidianamente le donazioni ricevute in una pagina apposita del suo sito.
Molti candidati, in particolare Le Pen, Mélenchon e Zemmour, sostengono che le energie spese nel reperimento dei finanziamenti siano sottratte alla corsa all’Eliseo. Tuttavia, i loro appelli mostrano i limiti delle avventure troppo solitarie: i partiti tradizionali, che possono fare affidamento su una rete di eletti locali e militanti, non mostrano particolari difficoltà. I socialisti e i repubblicani, il “vecchio mondo”, ogni tanto prendono qualche rivincita.
Consigli di lettura e fonti
France Culture ha scritto un lunghissimo articolo, nel 2020, per analizzare la strategia di Emmanuel Macron: come ha fatto a raccogliere 15 milioni di euro di donazioni? Risposta breve: ha messo insieme molti sostenitori benestanti, circa 800 persone su 99mila, che con le loro donazioni hanno coperto la metà delle spese. Risposta lunga: qui. Un riassunto di tutte le spese del 2017, dal Figaro.
Il Monde ha pubblicato una lettera aperta scritta da due autorevoli personalità nella lotta alla corruzione per chiedere trasparenza ai candidati; l’articolo di Europe 1 che dà la notizia dei 9 milioni di euro raccolti da Zemmour, che in ogni caso mostra fragilità finanziaria, secondo Le Point.
L’intervista di Marine Le Pen a RMC, in cui ammette di non riuscire a trovare i soldi per pagare le spese elettorali, una difficoltà che viene da lontano, come scrive France Inter.
L'adesione al partito di Melenchon è definita costosa. Voglio sottolineare che gli aderenti al PCF versano l'1% del loro reddito ogni hanno. Per esempio un lavoratore che guadagna lo SMIC versa 12 euro al mese cioè 144 all'anno.