Com’è la guerra in Ucraina vista dall’Eliseo? - Marat n. 53
Un giornalista ha accompagnato Macron per sei mesi durante la crisi internazionale. E ha filmato (quasi) tutto, anche le conversazioni del presidente con i suoi omologhi, compreso Putin
«Non so dove il tuo giurista abbia studiato diritto per sostenere che, in un paese sovrano, i testi di legge sono proposti da gruppi separatisti e non da autorità democraticamente elette».
«Ma il governo ucraino non è democraticamente eletto! È arrivato al potere dopo un colpo di Stato sanguinario. Ci sono state delle persone bruciate vive, è stato un bagno di sangue di cui Zelensky è uno dei responsabili. Il principio del dialogo è prendere in considerazione gli interessi dell’altra parte. Queste proposte esistono, i separatisti, come li chiami tu, le hanno trasmesse agli ucraini ma non hanno ricevuto alcuna risposta».
«Come ti ho appena detto, non ce ne frega nulla delle proposte dei separatisti, gli chiediamo soltanto di reagire ai testi delle autorità ucraine. Funziona così, è la legge, ma quello che sostieni mette in dubbio la tua volontà di rispettare gli accordi di Minsk, se dici che di fronte a te hai delle autorità illegittime e terroriste».
È il 20 febbraio 2022, Emmanuel Macron e Vladimir Putin discutono al telefono di quanto sta accadendo ai confini dell’Ucraina, dove la Russia ha ammassato centinaia di migliaia di soldati per non meglio specificate esercitazioni militari. Il timore di una guerra è grande, americani e britannici avvertono da mesi che un’offensiva è in preparazione, e il presidente francese sta provando in tutti i modi a convincere il suo omologo russo a fare un passo indietro. E nello scambio che avete appena letto, Macron alza leggermente il tono della sua voce per rispondere alle provocazioni di Putin, che accusa il governo ucraino di non rispettare le minoranze russofone del Donbass.
Putin protesta, ma è chiaro che le posizioni distanti non consentono grandi passi in avanti. Macron cambia argomento, propone di farsi mediatore di un incontro tra russi e ucraini che coinvolga anche le fazioni separatiste del Donbass. Putin si mostra possibilista.
«Studierò questa proposta una volta chiusa la telefonata. Ma avreste dovuto fare pressione sugli ucraini dall’inizio, mentre nessuno ha voluto farlo».
«Ma sì, io sto facendo il massimo, lo sai bene. Ma ho bisogno che tu mi aiuti un po’. Ho invitato Zelensky alla calma, lo rifarò, bisogna calmarsi, calmare i social media, le forze armate ucraine. Ma potresti farlo anche tu con le tue forze armate? Ieri ci sono stati molti bombardamenti, per dare un senso al dialogo bisogna calmare le acque nella regione. Come vedi l’evoluzione dei vostri esercizi militari?».
«Vanno avanti come previsto».
«Quindi terminano stasera».
«Sì, probabilmente sì. Ma lasceremo certamente una presenza militare al confine finché la situazione nel Donbass non si sarà calmata. Vabbè, vedremo».
«D’accordo. Vladimir, te lo dico sinceramente, per me è necessario che riusciamo a gestire la situazione, che non sfugga di mano. Questo è il primo pilastro. Conto molto su di te, non cedere alle provocazioni nelle prossime ore e nei prossimi giorni. Volevo concretamente farti due proposte: la prima è di organizzare un incontro nei prossimi giorni a Ginevra tra te e il presidente Biden. Gli ho parlato venerdì, gli ho chiesto se potessi farti questa proposta e mi ha detto di dirti che è pronto a incontrarti. Il presidente Biden ha anche riflettuto sul miglior modo per abbassare la tensione in modo credibile, prendendo in considerazione le tue richieste e affrontando chiaramente la questione della NATO e dell’Ucraina. Dimmi quale data preferisci e organizziamo».
«Grazie Emmanuel, è sempre un grande onore e un piacere parlare con i tuoi omologhi europei e con gli Stati Uniti. Con te dialogo sempre con molto piacere, perché abbiamo una relazione di fiducia. Quindi Emmanuel, ti propongo di invertire le cose, bisogna prima preparare questa riunione e poi annunciarla, perché se ci vediamo per parlare di tutto e di niente verremo criticati».
«Ma possiamo dirci adesso, alla fine di questa discussione, che siamo d’accordo sul principio? Vorrei una risposta chiara da parte tua su questo, comprendo la reticenza sulla data, ma sei pronto ad avanzare e a dire oggi di desiderare un incontro con gli americani o no?».
«Be’, è una proposta che merita di essere presa in considerazione. Ma se vuoi che siamo ben allineati sul modo di formularla, ti propongo di chiedere ai nostri consiglieri di telefonarsi il prima possibile per mettersi d’accordo. Sappi che sul principio sono d’accordo».
«Bene, allora i due nostri consiglieri diplomatici si parleranno per scrivere un comunicato congiunto sul contenuto di questa conversazione».
«Sì in realtà, per non nasconderti nulla, volevo andare a giocare a hockey sul ghiaccio, e adesso ti sto parlando dalla palestra perché devo fare qualche esercizio. Non ti preoccupare però, prima chiamerò i miei consiglieri».
«Grazie. In ogni caso Vladimir, restiamo in contatto. Per qualunque cosa mi chiami».
«Je vous remercie, monsieur le président» (in francese).
Macron ride, e attacca.
È piuttosto irrituale ascoltare (o leggere) un lunghissimo estratto di una telefonata tra due capi di Stato. Il fatto stesso di poterlo fare implica l’assenso di una delle due parti, in questo caso la francese, che ha evidentemente giudicato funzionale far filtrare all’opinione pubblica il contenuto e il tono del dialogo. L’estratto, che dura quasi dieci minuti, è una delle tante cose interessanti del documentario Un Président, l’Europe et la guerre, andato in onda su France 2 a fine giugno. Per girare il documentario di quasi due ore che mostra il dietro le quinte della crisi internazionale più importante dell’ultimo ventennio, il giornalista Guy Lagache ha avuto accesso quasi senza filtri, per sei mesi, alle riunioni della cellula diplomatica dell’Eliseo. Ed è stato particolarmente fortunato, perché non poteva in alcun modo prevedere che avrebbe raccontato la guerra in Ucraina dal punto di vista di Emmanuel Macron.
Il documentario nasce per raccontare un’altra storia, e cioè i sei mesi di presidenza francese dell’Unione europea, che avrebbero dovuto essere il principale impegno internazionale di Emmanuel Macron nei primi sei mesi del 2022. Lagache aveva presentato la sua idea al servizio di comunicazione dell’Eliseo nel novembre 2021, immaginando un racconto che, attraverso l’accesso diretto al presidente e al suo staff per tutti i mesi della presidenza, riuscisse a rendere l’Unione europea «pedagogica e allettante». Lagache voleva mostrare il dietro le quinte di come si «fabbrica l’Europa e qual è il suo impatto sulla nostra vita di cittadini». In effetti il film comincia così, in treno, con una sequenza che mostra il presidente prima del suo discorso al Parlamento europeo, mentre discute con i suoi consiglieri, il sottosegretario agli Affari europei Clément Beaune, e il ministro degli Esteri Jean-Yves Le Drian. Il tono, il colore e la trama, tuttavia, cambiano immediatamente, e mostrano dall’interno come l’Eliseo ha vissuto le settimane precedenti all’invasione russa e la successiva gestione della crisi. Quattro giorni dopo la conversazione tra Macron e Putin, la Russia invade l’Ucraina, e l’atteggiamento del presidente russo è dunque esattamente ciò che ci si aspetta: cinico quando parla delle esercitazioni militari dell’esercito russo prima dell’invasione, bugiardo quando rassicura Macron di non avere alcuna intenzione di scatenare una guerra a poche ore dall’invasione, spaccone quando mette fine a una delle tante telefonate per andare a giocare a hockey sul ghiaccio.
La scelta di consentire a Lagache di restare all’Eliseo e di seguire tutti i viaggi di Macron, malgrado il soggetto del documentario fosse completamente stravolto, non è casuale. Diffondere registrazioni di stralci di telefonate con altri capi di Stato e di governo, ignari di essere registrati in quel momento, non è neutra, perché prova in tutti i modi a mostrare quanto Macron non abbia fatto concessioni verbali a Vladimir Putin e quanto sia stato il principale protagonista occidentale della crisi. Le conversazioni con Boris Johnson, Joe Biden, Mario Draghi, Olaf Scholz, Volodymyr Zelensky sono tutte montate in modo da mostrare la leadership del presidente francese, e la sua devozione alla causa ucraina. Si capisce anche perché Macron abbia parlato così tanto con Putin: per dimostrare la sua malafede, e diffondere gli estratti delle conversazioni serve in parte a rendere consapevole l’opinione pubblica occidentale di questo aspetto. Rym Momtaz, ex corrispondente diplomatica di Politico Europe a Parigi, ha scritto che si tratta più di un film sulla comunicazione politica che di un lavoro giornalistico.
Tuttavia, se viste con questo prisma, le immagini restituiscono molto delle dinamiche interne all’Eliseo, e confermano ciò che gli addetti ai lavori sanno molto bene ma probabilmente il grande pubblico meno: i negoziati internazionali francesi sono condotti da una piccola cellula diplomatica composta da quattro o cinque persone, con pochissimi scambi con il ministero degli Esteri, ridotto a mera comparsa. Confermano anche l’attenzione francese agli affari persino nei momenti più drammatici delle crisi: le telecamere colgono le febbrili discussioni tra la delegazione francese e quella ucraina durante il viaggio di Macron a Kiev l’8 febbraio, 16 giorni prima dell’invasione, su un contratto per la società transalpina Alstom. Dopo molte difficoltà, il contratto si conclude, per la gioia del consigliere diplomatico di Macron, Emmanuel Bonne: «Sono posti di lavoro a Belfort», afferma.
Il potentissimo Bonne è in realtà il protagonista principale del documentario, e si presta di buon grado a spiegare le motivazioni delle varie posizioni che prende la Francia negli scenari più complicati. Attraverso le immagini a lui dedicate si può anche notare da vicino come funziona la relazione che lui definisce «intima» con la Germania, in particolare nei momenti in cui incontra il suo omologo tedesco Jens Plötner, con cui discute in francese. Non è sicuramente un caso che Plötner sia l’unico diplomatico straniero intervistato direttamente dal giornalista, né che Lagache sia autorizzato a filmare le discussioni informali tra i due, che mostrano di avere opinioni diverse sulle sanzioni.
Guy Lagache non è un esperto di politica estera, né uno dei cronisti che abitualmente seguono la politica estera del presidente: questi ultimi sono spesso ex corrispondenti in un paese rilevante e dunque molto preparati, e Macron ha avuto grandi scontri verbali con loro durante il suo primo mandato. Il punto di vista di Lagache è quindi sia una virtù che un limite: pone domande utili a comprendere il contesto in modo che lo spettatore si immedesimi, ma allo stesso tempo non mette mai il presidente di fronte ai limiti del suo esercizio, né dedica minuti al grande fallimento della politica estera macronista, che è proprio il tentativo (non riuscito), di tessere una nuova relazione con la Russia per evitare tensioni al confine est dell’Europa. Un confronto su questo sarebbe stato molto interessante.
Infine, ciò che colpisce l’osservatore italiano è la relativa assenza di Mario Draghi. Il presidente del Consiglio compare più volte, ma non sembra avere alcun ruolo nella crisi: mentre possiamo ascoltare gli scambi di idee tra Macron e Scholz, e tra Macron e Johnson, su questioni concrete come l’embargo al petrolio russo, l’invio di armi, la lettura delle mosse di Putin, non c’è alcun approfondimento del rapporto con Draghi. Soltanto un siparietto divertente, a Versailles, quando il presidente del Consiglio italiano pare essere l’unico leader a rispettare l’orario della convocazione della riunione voluta da Macron, che si complimenta con lui per la precisione. È strano, perché Draghi ha avuto un ruolo molto rilevante nel calibrare le prime sanzioni contro il sistema finanziario russo e nel portare tutti i paesi dell’Unione ad approvarle convintamente, e poi perché in virtù del trattato del Quirinale le due nazioni dovrebbero consultarsi continuamente sui dossier di politica estera più importanti. E sappiamo che in questi mesi lo hanno fatto più volte.
Consigli di lettura e fonti
Il documentario è disponibile su FranceTV in streaming, ma visibile solo per chi si trova in Francia (oppure se si utilizza una VPN). Al momento non è disponibile su nessuna piattaforma italiana. Tuttavia, è anche visibile su YouTube (ma chi lo ha caricato non possiede evidentemente i diritti, e quindi il video potrebbe essere rimosso nei prossimi giorni).
Politico Europe scrive che il documentario mostra i grandi limiti della politica estera solitaria di Macron; per il Monde è stato un peccato tenere fuori il periodo di campagna elettorale, che è tra i più interessanti (ma il regista ha deciso che seguire il presidente-candidato sarebbe stato fuori contesto).
Rym Momtaz, oggi analista all’International institute for strategic studies, ma con un passato da giornalista incaricata di seguire la politica estera di Macron, ha messo in fila su Twitter (in inglese) cosa l’ha colpita del documentario, un esercizio che ha fatto anche Piotr Smolar, corrispondente del Monde negli Stati Uniti ed ex corrispondente diplomatico proprio durante il mandato di Macron. Alla fine della sua esperienza all’Eliseo, Smolar aveva scritto un lungo pezzo sul fallimento della politica russa del presidente: leggerlo oggi è ancora utile.