Il secondo mandato non è ancora iniziato - Marat n. 52
Macron ha deciso di provare a governare con la maggioranza relativa, cercando i voti volta per volta, e la prima ministra ha presentato il suo progetto in Parlamento. Non sarà semplice
La verità è che il secondo mandato di Emmanuel Macron non è ancora cominciato. Questa falsa partenza, tuttavia, ha già prodotto una conseguenza politica che influenzerà i prossimi cinque anni: la risicata vittoria di Ensemble, la coalizione dei tre partiti macronisti (Renaissance, MoDem, Horizons) che ha ottenuto soltanto la maggioranza relativa all’Assemblea nazionale, è in gran parte da attribuire all’assenza del presidente, che inspiegabilmente ha deciso di non occupare l’agenda mediatica dalla sera della sua rielezione, il 24 aprile. Così, colui che aveva teorizzato di essere il padrone degli orologi dovrà condividere questo privilegio con un Parlamento molto più difficile da governare rispetto al mandato precedente, quando una maggioranza schiacciante aveva trasformato l’Assemblea nazionale in una camera di ratificazione. Oggi non è più così: Ensemble può contare su 250 deputati, mentre tutte le opposizioni sommate hanno 327 seggi, con una maggioranza assoluta fissata a 289 voti su 577 componenti totali. Dopo aver timidamente provato, senza riuscirvi, a costruire una coalizione con i partiti che hanno esercitato ruoli di governo in passato -tutti tranne il Rassemblement national e la France insoumise- Macron ha deciso di provare a governare con la maggioranza relativa, cercando i 39 voti che gli mancano legge per legge (o sperando in un’astensione complice di uno dei gruppi di opposizione). Questo è possibile perché il governo, a differenza di quanto accade in Italia, non ha bisogno della fiducia del Parlamento.
Così, questo mercoledì, quando la prima ministra Elisabeth Borne è sul palco al centro dell’emiciclo del Palais Bourbon per pronunciare il discorso di politica generale con cui presenta il suo programma al Parlamento e al paese, l’opinione pubblica non si attendeva granché, consapevole che il secondo mandato del presidente non beneficia di alcuno slancio o novità davvero rilevante, almeno per adesso. Si nota soltanto grande continuità: il primo governo Borne, nominato il 16 maggio, non era molto diverso da quello dimissionario che ha traghettato il paese dopo le elezioni presidenziali, così come il secondo, nominato quasi un mese dopo risultati delle elezioni legislative, il 4 luglio – un rimpasto necessario per sostituire i ministri sconfitti nei loro collegi. La grande continuità tra i due esecutivi di questo nuovo mandato è stata sottolineata dalla mancanza della breve cerimonia tradizionale di annuncio, in cui il segretario generale dell’Eliseo si presenta da solo, davanti alle telecamere, su una piccola tribuna allestita all’ingresso del palazzo per leggere i nomi dei vari ministri. Il 4 luglio è stato ritenuto sufficiente un comunicato: il segnale è che c’è stato un piccolo rimpasto, non un vero e proprio cambiamento. Il Monde l’ha definito un governo «pletorico e senza slancio», mentre il Figaro scrive che finalmente, dopo mesi, il «mandato di Emmanuel Macron si rimette in marcia», l’Express infine si chiede «Macron, presidente per fare cosa?», alludendo al progetto finora vagamente tratteggiato dal presidente che nel 2017 era stato eletto promettendo una «rivoluzione».
La prima ministra Borne, in questo momento, appare piuttosto debole. È in parte responsabile del cattivo risultato elettorale in quanto leader della maggioranza presidenziale uscente, e non ha lasciato un grande ricordo di sé per i due discorsi pronunciati dopo il primo e il secondo turno delle elezioni legislative: un’allocuzione stringata, letta senza pathos né proposte originali, che ha mostrato una mancanza di carisma criticata in numerosissimi retroscena da ministri e pesi massimi della macronia. Non è il miglior modo per affrontare i dissidi che arriveranno proprio all’interno della sua maggioranza. In particolare, Borne dovrà gestire quattro figure molto ingombranti che hanno ambizioni presidenziali per il 2027. I primi due sono François Bayrou, presidente dei MoDem (48 deputati) e tra i primi a sostenere Macron nella campagna elettorale del 2017, ed Édouard Philippe, fondatore di Horizons (30 deputati) ed ex primo ministro dal 2017 al 2019: entrambi saranno decisivi per la coesione della maggioranza in Parlamento, pur non sedendo in Assemblea. Infatti, Bayrou è Alto commissario al piano di reindustrializzazione e Philippe è sindaco di Le Havre, tuttavia le loro truppe sono diventate decisive nell’emiciclo. A loro si aggiungono Bruno Le Maire e Gérald Darmanin, rispettivamente ministri dell’Economia e dell’Interno, i due membri più importanti e influenti nel governo, che nel 2017 hanno lasciato i Républicains, il centrodestra moderato, per aderire al progetto di Macron. Non sarà facile gestire queste personalità.
Se nei prossimi mesi l’agenda legislativa si rivelerà complicata e impossibile da raggiungere, Borne potrebbe diventare un fusibile da sacrificare, per quanto il suo primo grande discorso in Parlamento sia stato giudicato all’altezza e ben impostato. Secondo i sondaggi, i francesi percepiscono questa contraddizione: secondo uno studio di Elabe, il 50% dell’elettorato è convinto che Elisabeth Borne sarà una buona prima ministra, ma soltanto il 28% ritiene che il suo governo sarà efficace nell’affrontare i problemi che ha di fronte a sé il paese. Per questo, il 75% degli intervistati ritiene che Macron dovrà puntare sul compromesso con le altre forze politiche, anche a costo di modificare il proprio progetto.
Giovedì 7 luglio il governo ha finalmente presentato il suo primo piano di aiuti economici dal valore di 20 miliardi per proteggere il potere d’acquisto dei francesi riducendo il costo del carburante, dell’energia per famiglie e imprese, e introducendo una serie di aumenti salariali. Il nuovo portavoce del governo, l’ex ministro della Sanità Olivier Véran, ha riassunto così la situazione: «Adesso il mandato comincia per davvero».
In queste prime sedute dell’Assemblea nazionale, le opposizioni hanno scelto di avere atteggiamenti molto diversi, e questo dimostra come, malgrado la maggioranza relativa, governare non è impossibile. Basterà, ha sottolineato Macron, presentare meno disegni di legge e provare a renderli più brevi per diminuire il numero di emendamenti. Mercoledì 6 luglio, la Nupes, l’alleanza di sinistra, ha depositato una mozione di sfiducia contro il governo ancora prima che Elisabeth Borne parlasse, segnalando in questo modo la sua volontà di condurre, per adesso, un’opposizione senza sconti e poco costruttiva. Il voto è calendarizzato per lunedì 11 luglio, ma difficilmente otterrà grande consenso: la Nupes è l’unica formazione politica ad aver scelto l’intransigenza, gli altri intendono evitare l’ostruzionismo, soprattutto sulle misure che stanziano fondi per sostenere l’economia. «Voglio che questo testo (le misure di sostegno all’economia presentate dal governo, ndr) possa essere votato, anche se sarà certamente imperfetto, perché non siamo noi ad averlo messo in piedi», ha detto la leader del Rassemblement national Marine Le Pen, annunciando che il suo partito non voterà la mozione di sfiducia depositata dalla France insoumise, un atteggiamento simile a quello dei Républicains, anch’essi orientati a non votare la mozione. I rapporti di forza in Parlamento sono i seguenti: la Nupes può contare su 151 deputati, il Rassemblement su 89 e i Républicains su 62. Di fatto, le opposizioni dovrebbero votare tutte insieme la mozione per far cadere il governo, ma per adesso a nessuno conviene davvero rendere ingovernabile il paese: i francesi non condividerebbero, e nessuno è sicuro di migliorare il proprio risultato se Macron decidesse di sciogliere l’Assemblea e tornare a votare, che resta sempre un’opzione percorribile nelle mani del presidente.
L’atteggiamento relativamente costruttivo del Rassemblement national, soprattutto rispetto a quello più bellicoso della France insoumise, è una delle novità politiche di questo inizio di legislatura. Questa differenza, particolarmente visibile durante il discorso di Elisabeth Borne, interrotta più volte dalle urla della France insoumise mentre i deputati di Rn ascoltavano in silenzio, ha fatto parlare di notabilizzazione del partito. Un piccolo passo verso una candidatura credibile alle presidenziali del 2027: sarà ancora una volta Marine Le Pen?
Consigli di lettura e fonti
La dura critica del Monde al secondo governo Borne; Le Figaro nota invece che quantomeno adesso il mandato può cominciare, mentre l’Express si chiede cosa sia diventato, oggi e dopo 5 anni di potere, il macronismo.
Le Point analizza il grande cambiamento del Rassemblement national, che sta provando in tutti i modi a presentarsi come un partito responsabile e istituzionale. L’Opinion si sofferma sulle differenti strategie delle opposizioni e giudica il discorso di Elisabeth Borne, riuscito perché molto personale. Per Mediapart, invece, la prima ministra vorrebbe raggiungere «compromessi senza concessioni», e difficilmente ci riuscirà.
Infine, sull’Express un’intervista molto lunga al politologo Jérôme Fourquet sulle prospettive di questa legislatura.