Il padrone degli orologi - Marat n. 43
Macron non sembra avere fretta: a due settimane dalla vittoria non ha ancora nominato il nuovo primo ministro e la direzione del prossimo mandato resta vaga. Perché il presidente è attendista?
È probabile che in questo momento soltanto il presidente, sua moglie e il potentissimo segretario generale dell’Eliseo, Alexis Kohler, conoscano il nome del prossimo primo ministro. O della prossima, viste le voci ricorrenti che indicano una donna per il ruolo. Sta di fatto che Emmanuel Macron, ufficialmente investito presidente in una sobria cerimonia questo sabato mattina, ha deciso di prendersi tutto il tempo necessario prima di procedere alla scelta, che avverrà dopo il 13 maggio. Quasi a ribadire ciò che aveva teorizzato all’inizio del suo mandato nel 2017: il maître des horloges, il padrone degli orologi, o meglio dell’agenda politica, è di nuovo lui, dopo un quinquennio segnato dalle crisi. In questo tempo sospeso, che secondo il presidente serve per «lasciar decantare» il risultato delle elezioni presidenziali, Macron non è completamente fermo. Questa settimana, il suo partito, La République en Marche, ha cambiato nome in Renaissance e pubblicato i primi nomi dei candidati alle elezioni legislative. Il maître des horloges ha dato il suo assenso a tutte le candidature presentategli dai suoi collaboratori, a dimostrazione della grande importanza accordata a questo passaggio. La maggioranza presidenziale sarà organizzata in una confederazione, tutti correranno sotto lo stesso simbolo ma i diversi partiti che la compongono potranno poi costituire un proprio gruppo autonomo all’Assemblea nazionale.
Gli equilibri all’interno del mondo macronista non sono secondari per il presidente. La disciplina del suo gruppo tra il 2017 e il 2022 è stata sorprendente, se consideriamo che i deputati non avevano un percorso di militanza comune, anzi provenivano da partiti avversari e non avevano mai lavorato insieme. Stavolta non sarà così, perché Macron non potrà ricandidarsi: se il presidente esce molto rafforzato nei confronti della storia, rischia di ritrovarsi molto debole nei confronti della sua futura maggioranza, ammesso che riesca a vincere le elezioni legislative. La battaglia per la successione è già aperta, e l’Assemblea sarà uno dei terreni di scontro.
Secondo diverse fughe di notizie, l’Eliseo sarebbe di fronte a una serie di rifiuti per il posto di primo ministro, in particolare di due donne: Véronique Bédague, ex direttrice di gabinetto di Manuel Valls, e Valérie Rabault, capogruppo socialista all’Assemblea nazionale. Questi due nomi sono piuttosto sconosciuti all’opinione pubblica nazionale e poco familiari anche per gli addetti ai lavori, ma mostrano più o meno la direzione che Macron vuole imboccare per questa scelta: donna, non necessariamente giovane (Bédague ha 58 anni), di sinistra moderata. È probabile che la scelta sia già stata fatta, come sostengono alcune voci insistenti, ma Macron voglia lasciare aperta la porta ad altre possibilità.
Il presidente ha l’abitudine di farsi attendere. Così come si diverte a essere spesso in ritardo durante le sue visite all’estero, ha la tendenza a lasciar posizionare gli avversari per adattare il suo discorso e le sue scelte in funzione del contesto. È la flessibilità che gli regala il suo posizionamento politico «sia di destra che di sinistra», e gli permette di aspettare il momento più giusto per scendere in campo: lasciare la ribalta all’unione dei partiti di sinistra, che hanno trovato un accordo per presentarsi insieme alle prossime elezioni legislative, monopolizzando l’attenzione della stampa, per poi entrare in campagna più avanti, quando l’effetto novità avrà finito di appassionare l’opinione pubblica. Il rischio di non riuscire a dettare l’agenda esiste, ma fino a un certo punto: Marine Le Pen è in vacanza e ha deciso di non giocare la partita, i suoi ammettono pubblicamente che Macron avrà la maggioranza e il tema vero è incarnare l’opposizione; per l’elettorato di centrodestra l’idea di Mélenchon primo ministro di una coalizione che ha come perno la redistribuzione fiscale è una sorta di incubo.
Oltre alla politica, interna ed estera (Macron lunedì vedrà il cancelliere tedesco Olaf Scholz e sta organizzando una visita in Ucraina), l’agenda dell’Eliseo è concentrata sui dossier economici. Gli ultimi due anni di mandato, a causa del Covid e del «costi quel che costi», l’intervento massiccio dello Stato per preservare l’economia, hanno mostrato un presidente molto incline a utilizzare la leva finanziaria pubblica. Macron è considerato un liberale ma in realtà non sembra intenzionato a cambiare politica economica: oggi la spesa pubblica vale il 59,2% del Pil, una proporzione elevatissima e molto lontana dalle promesse del 2017, quando En Marche! prometteva di abbassarla e di tagliare 120mila posti nella pubblica amministrazione.
La nuova parola d’ordine è «pianificazione», che unita alle numerose interviste concesse da Macron per tratteggiare la necessità di «reindustrializzare» il paese, fanno capire quale sarà l’orientamento economico dei prossimi anni. Il primo ministro sarà direttamente implicato in moltissimi dossier di questo tipo, ma prima dovrà risolvere una serie di problemi che in questo momento affliggono le grandi aziende strategiche particolarmente colpite dalla congiuntura. Air France, di cui lo Stato detiene il 30% e che ha già sovvenzionato per 7 miliardi (3 di garanzia e 4 di finanziamento diretto), è ancora in difficoltà: negli ultimi due anni ha perso circa 10 miliardi di euro, e il suo volume d’affari non è ancora tornato ai livelli del 2019. Saranno necessari un aumento di capitale e nuove risorse, costi che dovrà sostenere il suo principale azionista. In una situazione simile si trova Renault, partecipata al 15%, che fatica a superare lo scandalo che ha colpito il suo ex amministratore delegato Carlos Ghosn, evaso dai domiciliari in Giappone dopo essere stato arrestato per frode, e non sembra in grado di reggere la concorrenza nel settore delle batterie elettriche. La casa automobilistica è esposta in Russia (dove produce 500mila auto all’anno) e ha già perso 9 miliardi di euro nel 2021.
Edf, la principale azienda di energia elettrica, rappresenta forse il dossier decisivo. A differenza dell’Italia, che ha meno margine di manovra, la Francia è intervenuta per limitare l’aumento dei costi dell’elettricità: le bollette sono aumentate soltanto del 4%, ma il prezzo di questo calmiere lo pagherà l’azienda, che dovrà sostenere perdite per almeno 20 miliardi di euro nel 2022. A questo si aggiunge il progetto per la costruzione di nuovi reattori nucleari, 6 entro il 2037 e altri 8 entro il 2050, per un costo stimato di circa 50 miliardi di euro. Tutto ciò sarà in grandissima parte a carico dei contribuenti: Edf è controllata all’85% dallo Stato, che dovrà quindi accollarsi perdite e investimenti. Il debito francese, sempre più elevato (oggi è al 113% del Pil, e per fare un paragone con i paesi vicini, quello italiano è oltre il 150%, quello tedesco al 69%) e costoso a causa dell’aumento dei tassi di interesse, potrebbe diventare presto un tema politico per Macron. «La sera della sua vittoria il presidente ha dichiarato con solennità di essere consapevole che “il voto lo obbliga”. Sarebbe rassicurante saperlo consapevole che anche i 2900 miliardi di debito lo obbligano», ha scritto Le Point in un editoriale piuttosto critico nei suoi confronti.
Consigli di lettura e fonti
Due articoli su Alexis Kohler, braccio destro di Macron dal 2014, pubblicati questa settimana: il primo è un ritratto, scritto dal Monde, il secondo una lunga conversazione che il segretario generale dell’Eliseo ha concesso al Figaro.
La critica alla politica economica di Macron del Point, il punto sui dossier industriali da gestire su Libération.
Che fine ha fatto Marine Le Pen? Il Monde e il Figaro analizzano la strategia della leader del Rassemblement national.