La nuova alleanza tra Italia e Francia
Roma e Parigi hanno storicamente un rapporto molto complicato, ma per una serie di coincidenze i loro interessi convergono come poche volte. Draghi e Macron sembrano voler sfruttare l’occasione
Questo è un contenuto extra di Marat, la newsletter che racconta la Francia e la nuova corsa all’Eliseo.
Questa settimana è stata importante per le relazioni tra Francia e Italia, che negli ultimi anni sono state a tratti tese (durante il governo Gentiloni), a tratti pessime (durante il governo Conte I).
Martedì ho scritto un articolo su l’Opinion partendo da una piccola notizia, e cioè che il trattato del Quirinale, nelle intenzioni di Roma e Parigi un modo per istituzionalizzare i rapporti tra i due paesi, è praticamente scritto.
Diverse fonti italiane mi hanno confermato che l’Italia ritiene completate le linee principali del negoziato e ha consegnato una prima copia alla Francia, che dovrà esprimere le proprie osservazioni sul testo. Il processo richiede ancora del tempo, sono previsti scambi e “navette” delle bozze, ma siamo a buon punto.
In visita a Roma all’inizio di marzo, il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian ha detto che il trattato dovrebbe essere firmato al prossimo vertice bilaterale, che si terrà in Francia nella seconda parte dell’anno.
Non è ancora noto cosa preveda concretamente, ma è possibile immaginare che non sarà troppo diverso dal trattato dell’Eliseo, il modello a cui si ispira, che regola i rapporti intergovernativi tra Francia e Germania. Per fare qualche esempio: Parigi e Berlino organizzano due consigli dei ministri congiunti ogni anno, prevedono periodi di scambio di alti funzionari, hanno alcune sedi consolari in comune.
Questo passo in avanti è importante e significativo se inserito in un contesto più ampio. Giovedì, i ministri degli Esteri di Italia, Francia e Germania sono andati in visita in Libia, e hanno incontrato i rappresentanti del nuovo governo di unità nazionale.
È un segnale importante, perché indica la volontà dei tre paesi di tornare protagonisti (vediamo quanto concreta, ma in politica estera i simboli contano) e perché mostra che Francia e Italia, a lungo rivali in Libia, hanno ora interessi comuni, o quantomeno non antitetici, che poi è la stessa cosa.
Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha preparato la visita in stretta collaborazione con Jean-Yves Le Drian, che ha incontrato a inizio marzo e poi di nuovo mercoledì a Bruxelles, a margine del summit della Nato.
Di questo viaggio si occupa, tra gli altri, anche Arturo Varvelli, direttore dell’ufficio romano dell’European Council on Foreign Relations, nell’articolo di apertura del quotidiano Domani nella sua edizione di venerdì.
La capacità dell’Ue di individuare i propri interessi prioritari (alla buon’ora, si dirà) e di formare una coalizione piccola, ma assai influente, di paesi che agiscono all’unisono e nella stessa direzione. Il tallone d’Achille della Ue in politica estera e di difesa, rappresentato da sempre nella necessità dell’unanimità, non può condannare l’Europa all’inazione.
La soluzione di una coalizione di paesi che si attivano su alcuni dossier di comune sensibilità pare al momento l’unica possibilità per far funzionare l’Ue. Nella costruzione di queste alleanze intra-governative a favore del proprio interesse nazionale l’Italia dimostra di poter aver un ruolo importante.
Quello che scrive Varvelli è piuttosto coerente con quello che ho raccolto questa settimana. Come mi ha detto un diplomatico italiano, il punto per l’Italia non è sostituire il motore franco-tedesco con uno franco-italiano, quanto «lavorare meglio e di più per costruire un nucleo ristretto di Stati che faccia avanzare i dossier strategici più importanti. Ha funzionato sul Recovery Fund, può funzionare in Libia e nel Mediterraneo orientale».
Il trattato del Quirinale va in questa direzione, e non è un caso che i sottosegretari agli Affari europei di Italia e Francia, Enzo Amendola e Clément Beaune, abbiano pubblicato una lettera sulla Stampa, per ribadire quanto l’amicizia italo-francese serva all’Europa per fare passi in avanti.
Altro segnale: oggi Repubblica riporta di un accordo tra Mario Draghi ed Emmanuel Macron per aumentare la dotazione del Recovery Fund, una spinta che potrebbe aiutare il presidente francese nella prima parte del 2022, quando la Francia assumerà la presidenza di turno dell’Unione europea. Naturalmente anche in funzione delle presidenziali, che si terranno ad aprile e maggio 2022.
Dicevamo del contesto: Il Foglio ha anticipato che una compagnia di incursori italiani andrà a dare una mano ai francesi in Mali, integrando la Task Force Takuba, una missione europea che si occupa di sostenere le forze armate locali che combattono contro i gruppi jihadisti attivi nel Sahel.
La Francia ha circa 5mila uomini sul terreno inquadrati nell’operazione Barkhane, che serve a evitare il collasso degli Stati africani in grandissima difficoltà di fronte ai terroristi.
Camillo Casola, ricercatore all’Ispi di Milano ed esperto di Africa occidentale, mi ha spiegato che l’Italia ha deciso di intervenire nel Sahel per delle ragioni di sicurezza nazionale e di controllo dei flussi migratori, ma anche per migliorare i suoi rapporti con la Francia.
Lo sforzo è utile per due motivi: «È un grande segnale di cooperazione, e consente di lavorare meglio insieme sia in Libia, che confina con il Sahel ed è influenzata dall’instabilità dell’area, sia in Europa, dove gli interessi di Roma e Parigi sono abbastanza vicini».
Vediamo se tutto ciò si concretizzerà nella firma del trattato. Per adesso possiamo dire che la grande crisi del 2019 tra Francia e Italia è superata.
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