La Francia non è Parigi, ma senza Parigi non esiste una Francia - Marat n. 25
La capitale è molto piccola se paragonata ad altre città con un ruolo così rilevante nel mondo. Negli ultimi vent’anni la politica ne ha preso coscienza, e sta provando a cambiare le cose
Parigi è una capitale molto piccola. Più piccola di tutte le capitali europee o mondiali più importanti. Tuttavia, è una delle più influenti: nelle classifiche che valutano il peso specifico delle città, Parigi è in genere posizionata tra le prime tre, con New York e Londra. La città ha finora avuto una capacità di influenza inversamente proporzionale alla propria dimensione: mentre le altre città-mondo hanno realizzato che per competere su scala globale sia necessario aumentare il proprio peso specifico in termini di superficie, Pil prodotto e numero di abitanti, Parigi ha sempre rifiutato di adeguarsi, restando chiusa nella cintura del Périphérique che separa il perimetro del comune da quelli confinanti.

Finora la scommessa ha funzionato anche grazie alla sua enorme carica simbolica: Parigi è capitale dal V secolo dopo Cristo, possiede una continuità del potere e un accentramento di funzioni politiche, culturali ed economiche che nessun’altra città del mondo può vantare, a parte Londra e Istanbul. L’influenza si compone anche di caratteristiche immateriali, che rendono la capitale francese tra le città più attrattive al mondo: «La supremazia di Parigi è un enigma. Riflettete, in effetti. Roma è più maestosa, Treviri è più antica, Venezia è più bella, Napoli ha più grazia, Londra è più ricca. Cos’ha dunque Parigi? La rivoluzione. Parigi è la città-pivot sulla quale, un giorno, la storia ha girato. Palermo [ma forse voleva scrivere Catania] ha l’Etna, Parigi il pensiero. Costantinopoli è più vicina al sole, Parigi è più vicina alla civiltà. Atene ha costruito il Partenone, Parigi ha demolito la Bastiglia», scriveva Victor Hugo nel 1867, analizzando i motivi del successo della sua città.
È ormai chiaro, tuttavia, che se è vero che le metropoli diventeranno dei soggetti geopolitici in concorrenza tra loro, e in parte lo sono già oggi, meno di tre milioni di abitanti e una superficie di 105 chilometri quadrati non sono abbastanza per una capitale. A questo dovrebbe porre rimedio il progetto del Grand Paris, che porterà due grandi cambiamenti. Dal punto di vista amministrativo, consentirà una fusione delle competenze dei vari comuni, spesso in disaccordo sulle politiche da adottare. Dal punto di vista infrastrutturale, prevede investimenti per decine di miliardi di euro in modo da connettere tra loro le varie banlieue.
Coerentemente con la tendenza accentratrice della tecnocrazia parigina, all’interno della regione dell’Île de France è molto facile spostarsi in linea retta dal centro cittadino alla periferia. Andare da una banlieue all’altra è invece molto più complicato, quasi un incubo: non esistono collegamenti circolari. Bisogna arrivare in centro, cambiare tre o quattro linee di metropolitana e poi ritornare in periferia, spesso allungando in modo irrazionale il percorso.
Il Grand Paris Express, un progetto da oltre 35 miliardi di euro di investimenti, 200 chilometri di linee automatizzate, 68 nuove stazioni, quattro nuove linee (15, 16, 17 e 18) e tre linee esistenti prolungate e potenziate (11, 12 e 14), dovrebbe risolvere questo problema strutturale. L’assegnazione delle Olimpiadi del 2024 ha reso ancora più necessario un cambiamento di scala da parte della città.

L’Île de France rappresenta il 30% del Pil francese, il 5% della ricchezza prodotta nell’Unione europea, il 18% della popolazione francese e soltanto il 2% della superficie della Francia metropolitana. Da sola l’Île de France sarebbe la ventunesima economia mondiale. La capitale, quindi, deve sfruttare maggiormente l’ambiente circostante se vuole restare competitiva su scala globale. Nel 2018, per comprendere meglio l’ossessione dei parigini per il mantenimento del loro status, ho fatto una lunga chiacchierata con Aurélien Bellanger, uno degli scrittori francesi emergenti più interessanti, che al tema ha dedicato il suo terzo romanzo: «La Francia vive del complesso di essere una grande potenza media. La sola cosa che le consente di competere ancora, si dice, è Parigi. Il Grand Paris è quindi il modo nel quale un paese in declino può ancora affermare: non siamo in declino. L’ultimo asso nella manica di un paese convinto di poter dire: possiamo farcela».
Permane, tuttavia, una pessima reputazione che riguarda la periferia, soprattutto la banlieue orientale, il famoso dipartimento 93. Questo rende il Périphérique una barriera psicologica, oltre che fisica. Dalle rivolte del 2005, quando quasi tutte le periferie della capitale vennero messe a ferro e fuoco in reazione alla morte accidentale di due ragazzini, fulminati in un trasformatore dell’elettricità di Clichy-sous-Bois dove si erano nascosti per sfuggire alla polizia, la situazione è notevolmente migliorata. Fabien Ansel, direttore del gabinetto del sindaco di Clichy-sous-bois, mi spiega perché il Grand Paris Express, unito agli investimenti attuati negli ultimi vent’anni, rappresenta un progetto fondamentale per lo sviluppo della grande città: «La metropolitana è uno strumento estremamente potente, quando i comuni possono disporre di mezzi di mobilità di qualità si provocano cambiamenti residenziali molto rilevanti, sia per chi decide di restare sia per chi decide di trasferirsi. Arrivare nelle banlieue con gli autobus è estremamente complicato, così come raggiungere i luoghi di lavoro».
Oltre ai trasporti, un argomento ricorrente in città sono gli alloggi. Come gran parte della banlieue parigina, Clichy è costruita intorno a grandissimi casermoni bianchi, a gruppi di quattro o cinque edifici, le cosiddette cités. Da ormai quasi vent’anni lo Stato francese ha compreso che, oltre a essere esteticamente orribili, le cités sono criminogene e aumentano artificialmente la densità abitativa, rendendo complicato assicurare l’ordine pubblico. Inoltre, la manutenzione è quasi inesistente, e il degrado degli edifici aggrava la situazione. Così, a partire dai primi anni Duemila, molte cités sono state demolite e sostituite da alloggi a misura d’uomo, più facili da gestire e più attrattivi: «Vivere in un posto degno vuol dire poter invitare il proprio entourage la domenica a pranzo, e avere la sensazione che il tempo trascorso a casa propria non sia una condanna da cui scappare», argomenta Ansel. «Anche per i bambini le cose cambiano: potere invitare i propri amici il pomeriggio senza vergognarsi conta. Cambia la vita. Il rinnovamento urbano non risolve tutti i problemi, ma di sicuro è il primo passo».
Come abbiamo visto nel numero dedicato al mercato immobiliare parigino, il rapporto con la casa è una variabile fondamentale per comprendere la mentalità di chi abita nella capitale. Negli ultimi anni, la banlieue più vicina al Périphérique sta attirando nuovi studi professionali, coppie con figli piccoli e studenti universitari, mentre Parigi perde abitanti da anni in favore di comuni meno costosi ma dinamici e in grande fermento. Il futuro della tangenziale sarà quindi un fattore fondamentale dell’ulteriore “apertura” di Parigi.
Una parte della politica parigina propone da tempo di sopprimere completamente la tangenziale, altri propongono di trasformarla in un tunnel per ridurre il suo inquinamento e il suo rumore. In realtà, chi la utilizza, cioè circa 1,2 milioni di persone ogni giorno, sembra non poterne fare a meno.
Nel 2024, Parigi ospiterà i Giochi Olimpici, e senza dubbio nei prossimi mesi il futuro della capitale diventerà un tema di dibattito pubblico nazionale: la Francia non è Parigi, ma senza Parigi non esiste una Francia.
Consigli di lettura e fonti
Gran parte di questo numero è frutto di appunti, conversazioni e reportage raccolti nel corso del 2018. Una versione più estesa sul tema della Grande Parigi fu suddivisa in 4 parti: prima, seconda, terza e quarta.
L’intervista completa ad Aurélien Bellanger sul Foglio.
Olivier Razemon, giornalista del Monde, ha scritto un lungo pezzo sugli ultimi problemi del Grand Paris. Se vi interessano le vicende locali, lo consiglio molto. Il Figaro prova a capire se il progetto riuscirà a migliorare la qualità dell’aria della capitale, oggi tra le più inquinate d’Europa.