Sicuri che la sinistra abbia già perso? - Marat n. 32
Dopo mesi di irrilevanza, qualcosa può cambiare: Jean-Luc Mélenchon spera di unire gli elettori che non si riconoscono in Macron e nell’estrema destra per arrivare al secondo turno. Alcuni ci credono
Seduti nella fila più bassa di una delle quattro tribune, due padri con due figli sventolano le bandiere viola e rosse dell’Union populaire, il movimento che sostiene la candidatura di Jean-Luc Mélenchon, leader della France insoumise e campione della sinistra radicale. Accanto a loro, due signore anziane sorridono e applaudono Mélenchon, appena arrivato sul palco al centro della Sud Arena di Montpellier, dove circa seimila persone sono sedute, ordinate, per ascoltarlo.
Senza volerlo, questa prima fila riassume una parte dell’idea di Francia del tribuno della sinistra radicale, la creolizzazione della società: «La parola designa l’invenzione permanente che risulta dall’incontro di culture diverse in una stessa società», ha spiegato Mélenchon, che da anni lavora su questo concetto, considerato efficace dalla sinistra radicale per controbattere alla narrazione dell’estrema destra di Marine Le Pen ed Éric Zemmour, che al contrario fanno campagna sul pericolo della «sparizione» della società francese. L’idea dell’estrema destra è che la nazione si trovi di fronte a un processo chiamato «grand remplacement», grande rimpiazzo, una teoria cospirazionista secondo la quale in Francia è in atto un processo di sostituzione etnica della popolazione francese ed europea con una popolazione non europea, originaria principalmente dell’Africa subsahariana e del Maghreb.
Jean Luc Mélenchon ha 70 anni, e dal 2008 è il leader indiscusso della galassia che si muove a sinistra del Partito socialista. Candidato del Front de gauche alle presidenziali del 2012 e della France insoumise nel 2017, è alla sua terza campagna presidenziale, con ogni probabilità l’ultima. Mélenchon è un prodotto particolare della politica francese: è uno dei pochi leader in grado di tenere un discorso di ore senza leggerlo, ma semplicemente consultando gli appunti, ed è riconosciuto anche dagli avversari come un grande oratore; ammiratore di Robespierre e della Rivoluzione francese, trotzkista in gioventù, poi esponente della sinistra del Partito socialista, diventa ministro nel 2000, durante la coabitazione tra il primo ministro socialista Lionel Jospin e il presidente post-gollista Jacques Chirac.
Profondamente antiamericano, Mélenchon propone di abbandonare la Nato, che ritiene «la negazione della nostra indipendenza e l’esempio della nostra sottomissione agli Stati Uniti e alla loro folle politica imperialista». Un tema ricorrente in queste settimane di grande tensione tra Russia e Ucraina, di cui l’Alleanza atlantica sarebbe la principale responsabile secondo il leader della France insoumise, molto vicino alla rivoluzione bolivariana di Hugo Chavez in Venezuela, amico personale dell’ex presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva e dell’ex leader di Podemos Pablo Iglesias, oltre che grande estimatore del regime cubano.
Non solo, l’avenir en commun, il programma della France insoumise, prevede il blocco dei prezzi dei generi di prima necessità, l’introduzione della sesta settimana di ferie retribuite per i lavoratori dipendenti e la riduzione dell’età pensionabile da 62 a 60 anni. Tutto questo, da mettere in pratica subito dopo la convocazione di un’assemblea costituente incaricata di lavorare alla costituzione della sesta repubblica.
Queste posizioni radicali e molto connotate sulla politica estera, oltre a un programma improntato alla redistribuzione e alla tassazione dei grandi patrimoni, e la critica profonda dell’attuale sistema economico occidentale, sono frutto di profonde divergenze con gli altri partiti di sinistra.
Durante il mandato di Emmanuel Macron, il leader della France insoumise non è riuscito a diventare il punto di riferimento della sinistra francese, né il principale oppositore del presidente, e anzi ha avuto grande difficoltà a imporsi nel dibattito pubblico malgrado la piccola pattuglia di deputati eletti all’Assemblea nazionale nel 2017. Molto critico con i socialisti e gli ecologisti, Mélenchon ha un pessimo rapporto personale con quasi tutti i dirigenti degli altri partiti di sinistra; oltre alle divergenze programmatiche, anche questo è un punto importante per capire come mai per ora nessun accordo sia stato possibile.
Questa sequenza è stata disastrosa per Jean-Luc Mélenchon, che durante una perquisizione ai suoi locali si è scagliato contro la polizia urlando «la Repubblica sono io!», e protestando contro il loro lavoro
Ai comizi di Mélenchon la radicalità non si intravede soltanto attraverso il programma e il discorso, ma anche attraverso le idee delle persone che vanno ad ascoltarlo. Sabine, una signora di circa cinquant’anni, attraversa in lungo e in largo il grande ingresso della Sud Arena, fermando i militanti e proponendo loro la copia del settimanale Informations ouvrieres, che titola sulle «menzogne» del governo Macron. Mi dice che vota Mélenchon perché è il candidato più vicino alle sue idee, «un punto di riferimento» per le persone che hanno protestato in questi anni contro il presidente. Lei è una di queste, mi spiega, dopo aver preso dalla sua borsa un gilet giallo, che «porto sempre con me».
Come Sabine, anche Christophe crede in Mélenchon malgrado le sue proposte troppo poco radicali sull’ecologia: «Mi fido della sua capacità di tenere fede alle promesse». Quando chiedo perché i vari partiti di sinistra non riescono ad accordarsi tra loro e seguire un solo candidato, la risposta è simile per tutti: «L’unione della sinistra è una chimera, è soltanto un modo per andare al potere e tradire tutte le promesse come ha fatto François Hollande», risponde Christophe, interpretando il pensiero di molti alla Sud Arena.
In particolare, ai militanti della France insoumise l’attuale situazione ricorda troppo quella di cinque anni fa per non provare a correre da soli. A febbraio 2017, Mélenchon era accreditato al 12% nei sondaggi, poco più di quanto raccolga oggi. Con una grande differenza: il Partito comunista, alleato allora, oggi schiera un suo candidato che raccoglie circa il 4% dei potenziali consensi. La speranza degli insoumis è che la dinamica di oggi sia simile a quella del 2017, quando Mélenchon riuscì ad arrivare al 19,5% al primo turno, mancando la qualificazione al secondo per soli 600mila voti. Con la soglia per qualificarsi stimata a circa il 16%, il calcolo non è del tutto utopistico.
Mercoledì 16 febbraio Ségolène Royal, candidata socialista alle elezioni presidenziali del 2007, esponente della corrente di pensiero più centrista e moderata del partito e sostenitrice di Emmanuel Macron al primo turno del 2017, ha annunciato che voterà per Mélenchon: «È evidente che il voto utile a sinistra è quello per Mélenchon, è il candidato che conduce la miglior campagna e il suo progetto è solido». La vittoria di Royal al congresso socialista del 2008 convinse Jean-Luc Mélenchon ad abbandonare il partito, che considerava troppo moderato: per questo, l’apertura riveste un valore simbolico molto elevato, e rafforza la retorica degli insoumis, che da tempo rivendicano come il loro candidato sia l’unico tra quelli di sinistra in grado di raggiungere il secondo turno.
Come dicono i francesi, questa petite musique, il ritornello, suona sempre più forte, e il mondo più vicino alla France insoumise comincia a crederci. Secondo Libération, per esempio, gli elettori di sinistra non accetteranno di rimanere «semplici spettatori» di questa elezione come lo sono stati finora, e l’unico candidato in grado di cambiare la prospettiva è proprio Mélenchon. A due condizioni, continua il quotidiano: «In primo luogo, Mélenchon deve sperare che Marine Le Pen, Éric Zemmour e Valérie Pécresse restino in un fazzoletto intorno al 15-16%. Se uno dei tre si staccasse dagli altri due, Mélenchon vedrebbe le sue speranze sfumare. Seconda condizione necessaria, ma non necessariamente sufficiente per una qualificazione al secondo turno, è riuscire a incarnare una forma di “voto utile”, non di sinistra, ma di tutta la sinistra».
E infatti, sul palco di Montpellier, il 13 febbraio, Mélenchon sta molto attento a non criticare gli avversari del suo campo, non li cita mai in un discorso forse meno aulico del solito (anche se il riferimento a Robespierre non è mancato) e più pedagogico, una lunga dimostrazione per spiegare cosa accadrebbe una volta arrivato al potere: «I soldi ci sono. Durante la pandemia i miliardari francesi hanno guadagnato 236 miliardi di euro, 12 miliardi al mese, 414 milioni al giorno, 17 milioni all’ora, 287mila euro al minuto, 4.790 al secondo», attacca, proponendo di tassare al 100% tutte le eredità sopra i 12 milioni di euro e di creare un milione di nuovi posti di lavoro nella pubblica amministrazione. «La vera classe di assistiti sono i capitalisti francesi», conclude tra gli applausi dopo aver citato le misure a sostegno delle imprese e i dividendi distribuiti tra il 2020 e il 2021.
Le proposte sono radicali, e i socialisti, per esempio, denunciano un candidato che «finge di arrotondare gli spigoli ma resta populista e autoritario. Non ci sarà nessuna unione delle sinistra dietro di lui». Eppure la petite musique conquista anche chi è molto lontano dalle idee di Mélenchon. Il 10 febbraio, su France 2, Geoffroy Roux de Béziers, presidente del Medef, la Confindustria francese, ha rivolto un elogio inaspettato a Mélenchon, di fronte a lui per un dibattito: «Lei ha un programma, io l’ho letto e ne raccomando la lettura perché è ben fatto, ben scritto e interessante. Io la prendo sul serio, penso che lei sia pronto a governare altrimenti non avrebbe senso dibattere. Poi certo, correggerei ogni pagina del suo programma, ma questo è un altro discorso».
Per ora, «tutta la sinistra» è divisa in altre quattro candidature alternative a Mélenchon: Anne Hidalgo del Partito socialista, Yannick Jadot degli ecologisti, Fabian Roussel del Partito comunista e l’indipendente Christiane Taubira rifiutano per adesso la retorica del «voto utile» e non intendono ritirarsi a favore di chi, nei sondaggi, sembra in posizione di vantaggio. Vedremo se i loro elettori si comporteranno in modo diverso.
Consigli di lettura e fonti
L’articolo di Libération, molto ottimista sulle possibilità di avere un candidato di sinistra al secondo turno. I consiglieri di Mélenchon hanno scritto una lettera alla rivista Le Grand Continent per spiegare come mai sono convinti di potercela fare.
Il programma della France insoumise, riassunto dal Monde, le paure del Figaro in caso di vittoria alle elezioni della sinistra radicale, qui la posizione di Mélenchon sulla Nato, una critica molto dura alle sue scelte di campo in politica estera su Desk Russie.
Cos’è la creolizzazione, spiegata da Mélenchon, contestualizzata da Slate. La creolizzazione nelle parole del poeta e filosofo Edouard Glissant, referenza di Mélenchon su questo concetto, su France Inter. Infine, un pezzo del Figaro che critica l’utilizzo dell’espressione.
il programma è terrificante! Da vecchio "reac", sono invece contento di vedere che le destre, che in Francia sono liberali e democratiche, avanzino e non sono affatto estreme ,come le dipinge la sinistra a corto di idee ed argomenti.
Ancora assumere un milione di impieghi pubblici quando in Fracia vi sono due, dico due, milioni di funzionari di più dell'Italia, il chè e tutto dire. E non parliamo del resto....