La seconda gioventù del nucleare - Marat n. 19
Macron annuncia che la Francia costruirà nuovi reattori, una scelta energetica ma anche politica che tiene insieme ambiente e autonomia nazionale, alimentando la retorica di un paese innovatore
Nel suo discorso di martedì 9 novembre, Emmanuel Macron si rivolge alla nazione per fornire aggiornamenti sui nuovi provvedimenti di contrasto all’epidemia e sul programma degli ultimi mesi di mandato, che scadrà ad aprile 2022. In un breve passaggio, il presidente cita anche la questione energetica, oggetto di preoccupazione per le famiglie a causa dell’aumento dei prezzi, e annuncia: «Costruiremo nuovi reattori nucleari, non accadeva da decenni».
L’annuncio non è stato sorprendente, da tempo Macron ha fatto capire che il rilancio del nucleare sarà un tema portante della sua campagna, e che intende cogliere l’allineamento dei pianeti a favore dell’energia atomica. Il presidente non ha dato numeri o scadenze, ma l’ipotesi commentata dai giornali è che la Francia costruirà 6 nuovi reattori nucleari e che questi entreranno in funzione nei prossimi 15 anni.
Almeno in questa fase, l’annuncio non è soltanto una novità dal punto di vista industriale, ma soprattutto politico: il nucleare ha un grande merito, perché tiene insieme la capacità di salvaguardare l’ambiente, la necessità di proteggere l’autonomia nazionale, la volontà di reindustrializzare il paese, e il bisogno di una narrazione ottimistica per uscire dalla pandemia.
La Francia possiede il primo parco nucleare europeo e il secondo al mondo dopo quello americano: 56 reattori in attività che producono il 70% del fabbisogno di energia elettrica del paese. I francesi beneficiano dell’eredità del piano Messmer, dal nome del primo ministro che nel 1974 diede il via libera alla costruzione di decine di centrali nucleari, destinate a rendere la fornitura di energia il meno dipendente possibile dalle fluttuazioni del prezzo del petrolio.
Questa eredità, tuttavia, non durerà per sempre: i reattori francesi sono stati quasi tutti costruiti tra gli anni Settanta e gli anni Novanta, l’età media è di oltre 36 anni, ed Emmanuel Macron potrebbe essere l’ultimo presidente ad avere la possibilità di intervenire per salvaguardare questa industria. Nella sua visione, il nucleare è parte di un più generale piano di reindustrializzazione del paese, un concetto centrale nella retorica del presidente da quando è cominciata la crisi sanitaria ed esposto concretamente il 12 ottobre: 30 miliardi di investimenti entro il 2030 per far ripartire il paese.
Tutto inizia da un doppio trauma. Il primo, a marzo 2020, quando i francesi hanno scoperto che lo Stato non era in grado di rifornire velocemente la popolazione di dispositivi di protezione individuale, e gli ospedali non riuscivano a gestire le terapie intensive per mancanza di personale e macchinari. Un nuovo sintomo del declino nazionale.
Il secondo trauma avviene pochi mesi dopo, quando le grandi nazioni del pianeta cominciano ad annunciare che i loro vaccini anti-Covid sono efficaci. La Francia non può annunciare nessun vaccino, perché la sperimentazione del gruppo Sanofi è fallita, e deve affidarsi alle multinazionali americane.
La filiera nucleare – civile e militare – è invece un esempio di eccellenza nazionale: dà lavoro a circa 200mila persone con un alto livello di istruzione e di salario, un capitale umano che la Francia vuole coltivare e utilizzare per estendere la propria influenza. Secondo quanto riporta il quotidiano economico Usine Nouvelle, la grande azienda statale dell’elettricità, Electricité de France (Edf), punta molto sulle sue competenze per concludere accordi con i paesi che vogliono dotarsi di nuove centrali nucleari. Edf è in trattativa per costruire sei nuovi reattori in India, potrebbe partecipare alla gara per costruirne in Repubblica Ceca, ed è in ottimi rapporti con la Polonia, che punta sull’atomo per superare la propria dipendenza dai combustibili fossili.
L’Obs si concentra sulla rivincita del nucleare, ma per rimanere competitiva a livello internazionale la Francia deve aumentare rapidamente i propri investimenti: Réseau de Transport d'Électricité, l’azienda pubblica che gestisce la distribuzione di elettricità, ammette che «la Francia non è capace di costruire reattori nucleari allo stesso ritmo degli anni Ottanta».
Michaël Mangeon, ricercatore esperto di storia dell’energia nucleare in Francia, mi ha spiegato perché i quasi dieci anni trascorsi dall’ultimo reattore entrato in funzione nel 1999 a Civeaux, nell’ovest del paese, e l’avvio del cantiere di Flamanville, in Normandia, nel 2007, abbiano prodotto una perdita di competenze ora difficili da reperire sul mercato. Mi domandavo come fosse possibile, con 56 centrali in attività: «Gestire una centrale non equivale a costruirne una, perché le due attività necessitano di mestieri e competenze molto diverse tra loro. È sulla concezione e costruzione che la Francia incontra problemi: per esempio, per costruire dei nuovi reattori con la tecnologia utilizzata sugli attuali, c’è bisogno di saldatori qualificati, che è difficile trovare».
Il processo industriale diventa più efficiente quando i progetti sono molti, continua Mangeon, perché si va avanti «un po’ per tentativi ed errori. Ogni reattore beneficia dell’esperienza acquisita nella costruzione di quello precedente». Quando se ne costruiscono pochi, il rischio di errori e ritardi è quindi maggiore.
Il ragionamento è simile per il nucleare militare: i francesi continuano a costruire portaerei e sottomarini a propulsione nucleare per delle ragioni strategiche e di difesa, ma anche industriali, perché le tecnologie sono talmente complesse da richiedere continui aggiornamenti.
In un contesto internazionale instabile e segnato da crisi sempre più frequenti, anche la materia prima rende il nucleare conveniente, dicono i suoi sostenitori in Francia. L’uranio, il materiale utilizzato per ricavare energia, è più facile da ottenere rispetto ad altri minerali o fonti energetiche: «La geopolitica dell’uranio non è la stessa di quella dei combustibili fossili, perché la sua ripartizione è più omogenea, è facile da reperire in tutto il pianeta. Inoltre, l’uranio può essere stoccato facilmente e per diversi anni», ha spiegato al Monde Michel Berthélemy, economista all’Agenzia per l’energia nucleare. Questo rende il mercato meno soggetto alle fluttuazioni del prezzo della materia, che invece giocano un ruolo determinante per il petrolio.
La tempistica dell’annuncio di Macron non è casuale. Il presidente francese aumenta la pressione sulle istituzioni europee e sugli altri Stati per inserire il nucleare come energia pulita all’interno della “tassonomia” europea, vale a dire il modo di classificare gli investimenti in funzione della loro sostenibilità. Il prossimo aggiornamento della tassonomia è previsto per dicembre, e vede una strana alleanza tra la Francia, l’Italia e la Germania.
Roma e Berlino vorrebbero che il gas fosse inserito all’interno della tassonomia come energia pulita, una posizione che la Francia appoggia in cambio di un atteggiamento di apertura sul nucleare. Non puntando sull’atomo – la Germania ha deciso una progressiva dismissione all’inizio degli anni 2000, l’Italia l’ha completamente abbandonato nel 1990 – italiani e tedeschi hanno bisogno di un’energia di transizione per passare dalle fonti più inquinanti a quelle rinnovabili. I due paesi hanno puntato sul gas, compiendo enormi investimenti per costruire infrastrutture di trasporto e stoccaggio. Dal punto di vista geopolitico e industriale, l’Italia ha basato parte della propria presenza in alcune aree del mondo proprio sul gas, in Algeria e in Azerbaijan per esempio, ma anche in Egitto, dove l’Eni ha ottenuto la concessione per lo sfruttamento del giacimento di Zohr, tra i più vasti del Mediterraneo.
Per il governo francese, il nucleare è in ogni modo piuttosto popolare: secondo diversi sondaggi, oltre il 50% dell’elettorato è favorevole alla costruzione di nuove centrali, viste come la sola soluzione per assicurare contemporaneamente la riduzione delle emissioni inquinanti, la stabilità dei prezzi dell’energia e l’autonomia di approvvigionamento.
L’opinione pubblica si muove a fisarmonica nei confronti del nucleare: quando c’è un incidente particolarmente grave come Chernobyl in Ucraina, Fukushima in Giappone, o Three Miles Island negli Stati Uniti, il consenso si riduce. Ma mai come in Italia o Germania: per i francesi il nucleare contribuisce al sentimento di orgoglio nazionale, tanto da essere uno dei pochissimi temi su cui quasi tutte le forze politiche concordano.
Soltanto i Verdi sono apertamente contrari, e con qualche ragione. La France insoumise ha una posizione più sfumata, vuole abbandonare il nucleare ma in tempi molto lunghi.
Yannick Jadot, candidato ecologista alle presidenziali, pone un tema non banale: le previsioni dei costi futuri delle nuove centrali non sono attendibili, come dimostra ciò che è accaduto a Flamanville, ultimo reattore costruito in Francia e che dovrebbe entrare in funzione nel 2023. Secondo la Corte dei Conti, i 3,3 miliardi di costi iniziali sarebbero aumentati di circa sei volte, arrivando a 19,1 miliardi di euro.
Un costo così elevato, unito alla manutenzione molto onerosa e al problema delle scorie radioattive e della dismissione, non giustifica l’investimento, sostengono gli ecologisti. Meglio utilizzare quei fondi per costruire soltanto impianti basati sulle energie rinnovabili. Anche perché le stime della Edf non sono giudicate attendibili nemmeno dal governo stesso. Edf promette, infatti, un costo di 42 miliardi di euro per la costruzione di 6 nuovi reattori, ma secondo un documento acquisito dal media online Contexte, i ministeri dell’Economia e della Transizione ecologica prevedono un prezzo molto superiore, tra i 52 e i 64 miliardi di euro.
Giovedì 18 novembre, anche la Corte dei Conti ha espresso i suoi dubbi sulle cifre pubblicate da Edf, tenuto conto della «deriva nei ritardi di costruzione», a cui si aggiunge «l’incertezza in termini di capacità a costruire un nuovo parco di reattori in tempi e costi ragionevoli».
Difficile che il progetto di Macron possa essere influenzato da questo rapporto e da queste critiche: sul nucleare i costi sono l’ultimo parametro davvero preso in considerazione.
Consigli di lettura e fonti
Perché Macron è diventato sempre più favorevole a investire sul nucleare durante il mandato, e quali sono le sfide che deve affrontare la Francia per portare a termine il piano di investimenti. Entrambi sul Monde.
La Tribune racconta perché il gas e il nucleare entreranno probabilmente nella tassonomia europea come energie pulite, la strategia francese in ambito europeo spiegata dall’europarlamentare Pascal Canfin, del gruppo Renew Europe, dove siedono i macronisti.
L’articolo di Usine Nouvelle sulla gara tra Cina, Francia e Stati Uniti per conquistare il mercato delle nuove centrali nucleari, il pezzo di Contexte, dove si mettono a confronto le previsioni di Edf e quelle del governo sui costi dei futuri reattori nucleari.
RTE ha pubblicato un lunghissimo studio con i sei scenari per il futuro energetico della Francia (tre con nuovi reattori nucleari, tre senza). Qui trovate il riassunto dell’Obs, qui il rapporto completo.
segnalo anche questo studio (del 2013 ma sempre utile) https://www.jean-jaures.org/publication/quelle-politique-nucleaire-pour-la-france/