Zemmour, maneggiare con cura - Marat n. 15
Mentre il candidato-non-candidato continua a guadagnare consensi nei sondaggi, i media si interrogano su come coprire la sua campagna: ne parliamo troppo?
A guardare i talk show, leggere i giornali, ascoltare le radio, la Francia sembra trasformata nella Siviglia di Gioacchino Rossini.
Pronto a far tutto,
la notte e il giorno
sempre d’intorno in giro sta.
[…]
Tutti mi chiedono, tutti mi vogliono,
Donne, ragazzi, vecchi, fanciulle:
Qua la parrucca… Presto la barba…
Qua la sanguigna… Presto il biglietto…
Non è Figaro, il barbiere, che tutti vogliono, che tutti chiedono, ma Éric Zemmour, candidato-non-candidato alle presidenziali, oggetto nuovo eppure vecchissimo, capace di monopolizzare il dibattito pubblico parigino al punto da far interrogare i giornalisti: non staremmo forse esagerando?
La domanda è diventata talmente rilevante da generare a sua volta degli articoli per raccontare cosa sta accadendo all’interno delle redazioni e da spingere alcuni giornalisti a far circolare un appello, che ho potuto leggere in anteprima e che sarà probabilmente pubblicato nei prossimi giorni, in cui si «allertano le direzioni dei nostri media sul trattamento mediatico riservato a Éric Zemmour nel quadro della campagna presidenziale. Ci interroghiamo sulla nostra responsabilità nel creare un fenomeno o, in ogni caso, nel dargli un’ampiezza superiore alla sua realtà iniziale».
Il documento è sintomatico della situazione nelle redazioni francesi, divise al loro interno sul modo di raccontare un fenomeno politico troppo interessante e rilevante da poter essere ignorato, ma allo stesso tempo basato sulla provocazione e su dichiarazioni spettacolarizzanti, spesso false, razziste, consapevolmente esagerate.
Non è facile, la sfida per i giornalisti è riuscire a trovare un punto di equilibrio tra diventare una semplice cassa di risonanza del candidato-non-candidato, e trasformarsi in una macchina militante piena di critiche e indignazione.
Maël Thierry, capo del servizio politico dell’Obs, tra i principali settimanali francesi, riconosce questa difficoltà, e spiega che il modo per sbagliare il meno possibile è restare sui fatti: «Alcuni colleghi vorrebbero trattare Zemmour sempre e comunque in modo critico. Ma non è il nostro ruolo, non siamo dei militanti: è importante contestualizzare le sue dichiarazioni, smontarle quando sono false, cercare di capire chi va ad ascoltarlo e perché, senza dare giudizi morali. Chi siamo noi per farlo? Gli elettori capiscono da soli ciò che è condivisibile e ciò che non lo è».
Elodie Foret segue il Rassemblement national per France Inter, la principale radio pubblica del paese. E fa un’analisi sintetica simile a quella di Thierry sul ruolo dei giornalisti e in particolare dei reporter, che personalmente condivido: dobbiamo raccontare ciò che vediamo, cercare di aiutare i lettori a comprendere i fenomeni. Show, don’t tell, dicono gli americani.
In un contesto di polarizzazione, non è un atteggiamento semplice da tenere, spiega Foret: «Quando vado ai comizi di Zemmour, i militanti spesso mi insultano, perché France Inter è percepita come una radio di sinistra. Poi scrivo i miei pezzi o faccio i miei servizi, e capita che gli ascoltatori critichino il mio distacco o le mie scelte lessicali. In un servizio ho detto che Zemmour rappresenta la “destra nazionale”, e mi hanno criticato perché avrei dovuto dire “estrema destra” e in qualche modo qualificare negativamente il fenomeno. Invece per loro sono stata, come dire, connivente. Non è semplice muoversi, ma fa parte del gioco».
«Tenere un rigore giornalistico rispetto a Zemmour è arduo, anche perché all’interno delle redazioni ognuno ha una sua idea di questa definizione. È il bello del mestiere, non c’è soltanto un modo di farlo», ragiona un reporter di una rete televisiva di primo piano, che preferisce restare anonimo. I grandi giornali, radio e televisioni hanno giornalisti specializzati nel racconto di un solo candidato o partito. Sono i rubricards, che svolgono un lavoro molto delicato: coltivano le fonti, sviluppano relazioni di fiducia con l’entourage del candidato, lo seguono quando si muove.
I rubricards che seguono Zemmour si trovano oggi in una posizione particolare: sono specializzati nel Rassemblement national, e devono quindi dividersi tra due candidati. Il problema è che, mentre Marine Le Pen si è istituzionalizzata, fa parte del panorama politico da anni, Zemmour non lo è. Il loro lavoro è quindi mutevole, devono far fronte alle pressioni delle gerarchie interne, e a volte sono criticati per aver dedicato troppa attenzione ad aspetti giudicati “laterali” come il suo entourage o alcuni aspetti organizzativi della sua campagna. «Nelle ultime settimane mi sono reso conto che dei colleghi non hanno apprezzato i miei articoli. Alcuni di noi pensano che ne stiamo scrivendo troppo o raccontando in modo troppo “neutro” la sua ascesa», spiega un giornalista di un grande quotidiano nazionale specializzato nell’estrema destra.
«A inizio settembre, quando nei sondaggi era al 4 o 5% ci siamo posti delle domande: se scriviamo di Zemmour parliamo di politica o diventiamo la cassa di risonanza di un opinionista che sta promuovendo il suo libro? D’altro canto, dal punto di vista giornalistico era interessante raccontare la sua ascesa nei sondaggi, cercare di analizzare i rapporti con Marine Le Pen, l’impatto sui Républicains. Rispetto a una campagna che si annunciava un po’ scontata, lui riapre i giochi, pone dei problemi politici a tutti gli altri candidati», aggiunge lo stesso giornalista, poco convinto dell’accusa rivolta ai media, colpevoli di aver “creato” il fenomeno Zemmour insieme ai sondaggisti, parlandone in modo ossessivo: «In ogni caso oggi è al 17%, questo dibattito non ha più senso!».
«Ciao colleghi, iniziamo a porci delle domande o continuiamo a farci manipolare?»
Si può creare, dal nulla, un candidato che rappresenta delle tendenze molto presenti nella società francese, e che seduce da tempo con i suoi discorsi? Difficile dirlo, ma è utile sottolineare che stando ai dati pubblicati dal Monde, il suo libro di maggior successo, Le Suicide Français, pubblicato nel 2014, ha venduto in totale 477 mila copie.
Maël Thierry dell’Obs relativizza il ruolo dei media nell’ascesa di Zemmour di queste settimane. È meno tenero con la categoria per lo spazio a lui garantito negli ultimi vent’anni: «Éric Zemmour è stato a lungo su France 2, che è servizio pubblico, aveva un suo programma su C News, una sua rubrica fissa a Rtl. Abbiamo dato uno spazio molto ampio a una persona condannata due volte dalla giustizia per ciò che dice: forse la riflessione sul suo ruolo all’interno del sistema mediatico andava fatta prima di questo settembre, ora è un politico candidato alle presidenziali (poco importa che non lo sia ufficialmente) ed è normale che si parli di lui».
Questo aspetto è sottolineato anche nella bozza della lettera aperta di cui parlavo in apertura di questo numero: «È importante ricordare che la sua candidatura sarebbe significativa, visto il suo passato giudiziario. Éric Zemmour è stato condannato due volte dalla giustizia, prima per provocazione alla discriminazione razziale nel 2011, poi per provocazione all’odio contro i musulmani nel 2018. Il suo arrivo ipotetico sul primo piano della scena politica francese deve essere evocato, secondo noi, con molta prudenza e più moderazione sui nostri media».
All’equazione va aggiunta una constatazione: personaggi del genere fanno vendere o fare ascolti. Éric Zemmour è una manna per i media, che hanno delle responsabilità di servizio pubblico e di buon funzionamento della democrazia, ma sono anche aziende che ogni anno chiudono un bilancio. Il 23 settembre, in TV si potevano vedere due dibattiti. Il primo, organizzato da BFMTV, tra Jean-Luc Mélenchon, leader della France Insoumise, ed Éric Zemmour; il secondo organizzato da France 2, tra la presidente della regione dell’Île de France e candidata al Congresso dei Républicains, Valérie Pécresse, e il ministro dell’Interno, Gérald Darmanin.
BFMTV ha fatto registrare il secondo record di ascolti della sua storia, con 3,8 milioni di spettatori; France 2 si è fermata a un milione. Non è una questione secondaria: la pubblicità venduta in quella fascia oraria contribuisce a pagare gli stipendi ai redattori, i reportage degli inviati, il cachet agli editorialisti e tutta la macchina organizzativa che c’è dietro.
Zemmour è una novità, e le novità funzionano. Questi fenomeni non sono nuovi: nell’autunno 2016, quando non aveva ancora annunciato la sua candidatura, i media erano spesso accusati di creare il fenomeno Macron, definito da Marine Le Pen «le chouchou des médias». Macron stesso ammetteva di essere spesso in copertina perché «faccio vendere».
I giornalisti si interrogano sul modo in cui trattare Zemmour anche perché il panorama mediatico è cambiato. L’estrema destra è presente in Francia da molto tempo, Jean Marie Le Pen e Marine Le Pen sono arrivati al secondo turno delle presidenziali rispettivamente nel 2002 e nel 2017. Tuttavia il Front national, poi Rassemblement national, non ha mai avuto dei grandi media “amici”, che ne condividessero le idee, rilanciandole. Come avevo spiegato nel suo ritratto, oggi Zemmour può contare su una rete televisiva, C News, sul settimanale Valeurs Actuelles, sulla radio Europe 1, media pronti a riprendere e a fare da cassa di risonanza dei suoi ragionamenti.
È una situazione inedita, perché i candidati anti-sistema non hanno mai beneficiato di una grande stampa a favore.
Giovedì, Éric Zemmour è andato in visita al Milipol, uno dei saloni più importanti d’Europa per le industrie della difesa. Una visita molto inusuale per uno scrittore in fase di presentazione del proprio libro, una visita assolutamente normale per un candidato alle elezioni presidenziali.
Dopo una prima passeggiata tra gli stand, seguito dal tradizionale codazzo di giornalisti e sostenitori, si avvicina a un tavolo dove è esposto un fucile di precisione ad alto calibro. Lo imbraccia, malgrado i suoi assistenti gli consiglino di non farlo, ci gioca un po’ tenendo la canna appoggiata al tavolino, poi lo alza, si gira di quarantacinque gradi, e lo punta verso i giornalisti che seguivano la scena e gli tendevano il microfono per avere qualche dichiarazione.
Zemmour ai giornalisti: «Ora non ridete più eh?».
Il video è diventato rapidamente virale, è stato ripreso dai giornali e dalle televisioni, commentato dai ministri e dagli avversari di Zemmour. Insomma, in poche ore la scena è passata da scherzo di cattivo gusto a fatto politico.
Philippe Corbé, capo del servizio politico di BFM TV, ragiona sul perché il video sia diventato virale. Corbé spiega che la sua rete ha deciso di non diffondere le immagini in un primo momento, perché ha ritenuto non fossero rilevanti dal punto di vista politico, ma che poi i commenti dei ministri hanno cambiato la percezione, e quindi è diventato inevitabile parlarne: «Non possiamo fare campagna così, non è possibile riprendere ogni provocazione».
Le Corbé centra un punto: la strategia elettorale di Zemmour si basa sulla provocazione per ottenere visibilità e commenti, diventando centrale nell’agenda mediatica. Da un lato è una trappola, dall’altro scandisce il ritmo dei canali all news, molto influenti in Francia, e viene commentato dagli altri politici, facendolo diventare un fatto rilevante.
Il contesto, tuttavia, conta. Lo scorso weekend, Zemmour aveva tenuto un lungo comizio a Béziers incentrato sull’autorità dello Stato: «Quando si ha il potere, bisogna imporlo […] oggi abbiamo dei contropoteri che sono diventati il potere, la giustizia, i media, le minoranze. Dobbiamo togliere il potere a questi contropoteri». A molti questa dichiarazione è sembrata significativa :«Sì, la scena col fucile era importante – aggiunge una giornalista di uno dei quotidiani francesi più rilevanti - ma forse era più importante la frase che ha detto a Béziers sui contropoteri. È la sua prima dichiarazione palesemente antidemocratica, credo che vada sottolineata. Ecco, tra quella dichiarazione e il giochino con il fucile, non ho dubbi su quale delle due notizie vada trattata, ma mi pongo anche una domanda: sono legate?».
Cambieranno le cose quando Éric Zemmour annuncerà la sua candidatura? È probabile, perché i francesi inizieranno a guardarlo con più attenzione, e riceverà domande più complesse. France Inter, per esempio, ha deciso di non invitarlo nella sua trasmissione più ascoltata (la fascia oraria del mattino, tra le 7 e le 9, fondamentale per i politici) finché non si dichiarerà candidato in modo esplicito. Un modo per spingerlo a uscire dalla sua ambiguità. E forse per ottenere la prima intervista da candidato ufficiale, dato che le richieste sono già in corso…
Ahimè, (ahimè) che furia!
Ahimè, che folla!
Uno alla volta,
Per carità! (Per carità! Per carità!)
Uno alla volta, uno alla volta,
Uno alla volta, per carità!
Consigli di lettura e fonti
Un lungo e informatissimo articolo di Mediapart, che ha cercato di raccontare cosa succede all’interno dei media francesi. Libération spiega perché ha deciso di dare ampio spazio alla scena del fucile, mentre France Info si chiede se i media hanno una vera influenza sulla popolarità dei candidati (tendenzialmente no).
L’Obs riporta che nelle ultime settimane l’Eliseo ha iniziato a criticare in modo esplicito Zemmour, il Figaro ha pubblicato un articolo in cui ragiona su “dove può arrivare il polemista”, la prima grande inchiesta sull’eventuale candidatura del polemista, scritta dall’Express a febbraio.
Allo Spectator, settimanale conservatore britannico, Éric Zemmour piace molto: qui spiega perché. Il mestiere di rubricard, spiegato dal Monde.