Elezioni regionali e ambizioni nazionali - Marat n. 4
Il primo turno di questo scrutinio locale ci dà qualche insegnamento sulla situazione politica francese. Astensione altissima e tenuta dei partiti tradizionali: quanto conta per le presidenziali?
Ieri si è tenuto il primo turno delle elezioni regionali. È stata una campagna elettorale strana, caratterizzata da poca partecipazione, pochissimi comizi e poco interesse dei media nazionali e internazionali. Vediamo com’è andata.
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In questa mappa, realizzata dall’Opinion, si vede il partito in testa al primo turno. Come vedete è una mappa che potremmo definire “antica”: in tutte le regioni a essere in vantaggio sono i candidati della destra e della sinistra tradizionali con l’eccezione della Provenza, dove al primo posto si qualifica il Rassemblement national.
Dico antica perché, dopo le elezioni del 2017 e il bipolarismo Macron/Le Pen di questi anni, i partiti tradizionali sembravano arrivati alla fine del loro ciclo. E invece la “rivoluzione” innescata da un’elezione particolarissima come la presidenziale non è stata seguita da stravolgimenti a livello locale. Essere radicati sul territorio ha fatto la differenza ancora una volta.
Arrivare primi è piuttosto importante perché l’elezione regionale ha un regolamento peculiare, a cui in Italia non siamo abituati: si qualificano al ballottaggio tutti i candidati che superano il 10%. Ciò vuol dire che al secondo turno, se si qualificano più di due candidati e nessuno si ritira, si vince con meno del 50% dei voti, e soprattutto vuol dire che gli apparentamenti o le “desistenze” (cioè il ritiro delle liste) sono spesso cruciali nel determinare la vittoria.
Guardiamo ora i risultati.
La prima cosa che va sottolineata è che sarebbe sbagliato prendere questi dati e utilizzarli per prevedere cosa accadrà nel 2022. Regionali e presidenziali sono due scrutini incomparabili, i candidati non sono gli stessi, i temi che guidano le scelte nemmeno, e c’è l’elemento fondamentale dei presidenti uscenti, molto favoriti da questo tipo di elezione.
Tuttavia questi numeri qualcosa raccontano. LR (Républicains), con il 28,4% è ampiamente il primo partito, seguito dal Rassemblement national al 19,3%, dal Partito socialista che ottiene il 15,8% e dimostra di essere ancora relativamente competitivo grazie ai presidenti di regione uscenti, e dai Verdi, al 13,2%. LREM, il partito di Macron, è fermo al 10,4%, mentre LFI, la France Insoumise di Jean Luc Mélenchon, ottiene un risultato molto deludente, il 5,2%.
Il dato più importante è in ogni caso l’altissima astensione, che come potete immaginare influenza enormemente i risultati: chi è riuscito a mobilitare i suoi elettori ha ottenuto percentuali più alte di quelle attese, chi contava su una partecipazione meccanica è rimasto deluso. L’astensione supera il 66%, soltanto un terzo dei francesi è andato a votare.
Queste sono le motivazioni rilevate dall’istituto Ipsos: la maggioranza relativa, 39%, dichiara di non essere andata a votare perché questa elezione non ha alcuna incidenza sulla sua vita quotidiana, il 23% per manifestare la propria insoddisfazione rispetto alla classe politica, il 22% perché insoddisfatto dalle liste, il 21% perché convinto che i consiglieri regionali non hanno capacità di azione per migliorare le cose. Insomma, il 60% di chi si è astenuto lo ha fatto con motivazioni completamente slegate da valutazioni nazionali.
Per questi motivi, tutte le analisi devono essere molto prudenti. Però alcune cose possiamo già dirle. Ne metto in fila quattro.
1 – Per il Rassemblement national è una grande delusione. Nel 2015, il Front national era in piena ascesa, e ottenne un risultato nazionale molto rilevante: 27,7%. Oggi arretra di quasi dieci punti, una situazione particolarmente preoccupante perché in tutti i sondaggi osserviamo che il suo elettorato è quello più solido e fedele.
Le prime dichiarazioni dei massimi dirigenti riflettono bene questa sensazione di “abbandono” da parte degli elettori storici: «La distorsione tra le intenzioni di voto misurata dai sondaggi e i voti reali ha una sola spiegazione: i nostri elettori sono rimasti a casa. Ecco perché invoco una reazione di tutti quelli che vogliono esprimere la loro opposizione all’azione del governo», ha detto Marine Le Pen nella serata di domenica.
Inoltre, il Rassemblement national ha avuto nelle regioni un’emorragia simile a quella che abbiamo osservato in Italia con il Movimento 5 stelle in Parlamento. Ha perso moltissimi eletti durante il mandato, erano 358 nel 2015, sono rimasti in 257, segno che per i partiti protestatari, che hanno un problema di reclutamento della classe dirigente, la prova del potere è sempre molto complessa.
2 – Il partito di Emmanuel Macron non esiste. A quattro anni esatti dalle presidenziali, abbiamo avuto una risposta netta alla domanda che ci ponevamo all’epoca: il presidente riuscirà a strutturare un partito capace di replicare a livello locale ciò che lui ha compiuto a livello nazionale? È possibile per un movimento inventato a uso e consumo del suo leader trovare una classe dirigente diffusa, militanti, ed elettori quando il leader non si presenta? La risposta è no. A livello nazionale le liste della maggioranza presidenziale raccolgono il 10,4%, circa 14 punti in meno rispetto ai sondaggi che registrano le intenzioni di voto per l’anno prossimo.
In molte regioni la lista della République en Marche! non supera il 10%, e solo in 8 regioni su 13 i suoi candidati riescono ad accedere al ballottaggio. L’ambizione di risultare decisiva al secondo turno, alleandosi con chi è in buona posizione (e quindi ottenere dei seggi) o ritirando la propria lista, è frustrata.
Nella regione Hauts-de-France in particolare, il partito di Macron non accede al ballottaggio malgrado una campagna elettorale condotta da più ministri molto in vista. La regione è governata da Xavier Bertrand, ex membro dei Républicains, che si è ripresentato ed è arrivato primo con il 41% dei voti; Bertrand ha già annunciato la sua candidatura alle presidenziali (nei sondaggi raccoglie circa il 15% dei voti), e questo risultato rafforza la sua posizione. È un potenziale pericolo perché molte delle sue posizioni sono sovrapponibili a quelle del presidente: se la sua candidatura comincia a funzionare è un problema per Macron.
C’è però una notizia confortante per il presidente: i francesi che hanno votato per dare un segnale al governo sono relativamente pochi, e in grande diminuzione (9 punti) rispetto al 2015, quando all’Eliseo c’era François Hollande.
3 – Alla delusione dei due partiti favoriti per le presidenziali del 2022 si oppone la relativa salute dei due partiti tradizionali, specialmente della destra moderata. Certo, ciò non vuol dire automaticamente che i Républicains siano il primo partito di Francia: nei sondaggi nazionali il loro consenso è di circa il 16%, ma con un candidato forte avere una “macchina” locale rodata può essere molto utile in campagna elettorale.
Il buon risultato delle liste di sinistra (è ragionevole immaginare che, a meno di una grande partecipazione al secondo turno, molti presidenti uscenti saranno riconfermati) può diventare un fattore da considerare nella strategia per le prossime presidenziali. Se sommiamo i risultati di Partito socialista e Verdi otteniamo quasi il 30%; una cifra difficile da replicare alle presidenziali, ma che mostra un fatto chiaro: uniti i due partiti sono più competitivi.
4 – La sicurezza è stato il tema principale della campagna elettorale, anche se le regioni non hanno alcuna competenza in materia. Era probabilmente inevitabile: si tratta della prima preoccupazione dei francesi, ed è dunque naturale che i partiti tentino di proporre soluzioni in tal senso quando partecipano alle elezioni.
Prendiamo il caso dell’Île de France, regione che da sola ospita un quinto degli abitanti del paese e produce circa un terzo del Pil. Secondo un sondaggio realizzato da Ipsos e Sopra-Steria per France Télévisions e Radio France, il 44% degli elettori di questa regione risponde che la delinquenza è la prima preoccupazione, seguita dall’epidemia (32%), dall’immigrazione (29%), e dal terrorismo (28%).
L’appuntamento con un nuovo numero di Marat è per domenica sera per commentare i risultati del secondo turno. Io sarò in Provenza, unica regione dove il Rassemblement national è competitivo e può contendersi la vittoria. Lo è in modo particolare perché il Front républicain, l’alleanza di tutti i partiti contro l’estrema destra, non è più un fattore rilevante.
L’alleanza di sinistra tra Partito socialista e i Verdi, che al primo turno ha ottenuto il 16,8%, ha annunciato che non si ritirerà. Questo nonostante le pressioni esercitate dalle rispettive leadership nazionali, che invece hanno chiesto il ritiro al candidato proprio per evitare la vittoria del Rassemblement national. La motivazione è semplice: se ti ritiri non ottieni nemmeno un seggio.
Al ballottaggio si affronteranno quindi questa coalizione di sinistra, una lista comune tra LREM e i Républicains (31,9%) e il Rassemblement national (36,3%).