A Tournus, la Francia ottimista si prepara alle presidenziali - Marat n. 26
Nel 2018 ero stato in Borgogna, in un paesino teatro di una piccola rivoluzione: il giovane sindaco provava a rivitalizzare una città considerata “morta”. Sono tornato a vedere cos’è cambiato
In uno dei bar della piazza principale di Tournus, in Borgogna, cinque persone intorno al loro tavolo discutono divertite dell’uscita di Emmanuel Macron, che la sera prima in un’intervista al Parisien ha detto di voler «rompere i coglioni» ai francesi non vaccinati, veri responsabili delle difficoltà negli ospedali, rendendo loro la vita impossibile.
Sono seduto nel tavolo accanto, ho aperto il mio portatile per riorganizzare gli appunti ma finisco inevitabilmente per ascoltarli. L’espressione utilizzata da Macron è «emmerder», difficile da tradurre in italiano. Ma forse rompere i coglioni rende l’idea meglio di ogni altro tentativo addolcito, e fa capire come mai per un paio di giorni in Francia non s’è parlato d’altro. «Un presidente non parla così», hanno notato alcuni, «e però i novax hanno davvero rotto i coglioni», hanno concesso altri.
«Non mi sta particolarmente simpatico», dice uno degli uomini mentre addenta un biscotto, «ma insomma, ha ragione, non ne possiamo più noi, figurati lui». Gli altri ridono, condividono il ragionamento. Il presidente non è un campione di empatia ed è poco compreso da chi abita in un piccolo borgo come questo, circa cinquemila abitanti a tre ore e mezza di treno dalla capitale. C’è chi non condivide il tono, chi non ama la tendenza a trovare un capro espiatorio, chi crede che le persone sospettose nei confronti del vaccino abbiano le loro ragioni. Ma in fondo, tutti sono convinti che non ci sia altro modo per uscire dalla pandemia. A Tournus, il 95% dei cittadini è vaccinato.
Ero già stato qui nel 2018, colpito dalla piccola rivoluzione locale. I cittadini di Tournus, riuniti in un’associazione, erano riusciti a impedire la costruzione di un grande centro commerciale di oltre cinquemila metri quadrati alla periferia del borgo. Uno dei leader della protesta, che tra le altre cose spinse alle dimissioni il sindaco allora in carica, aveva deciso di candidarsi al suo posto, vincendo le elezioni nel 2017. Bertrand Veau proponeva un programma fondato su una proposta ambiziosa e complicata: recuperare il centro storico, progressivamente abbandonato della seconda metà del Novecento, favorire i piccoli negozi, rivitalizzare il mercato locale e fare di Tournus un polo di attrazione di tutta la regione.
Dopo quattro anni sono tornato a vedere come procede la piccola “rivoluzione”: nel 2020 Veau è stato rieletto con l’81,4% dei voti, la disoccupazione è calata dal 13,8% al 7%, il centro cittadino è più vivo e alcune grandi aziende hanno deciso di investire nella zona industriale, che oggi conta circa mille dipendenti.

Tournus è un comune tipico della “Francia rurale”, un concetto evocato spesso nei dibattiti televisivi e nelle convention di partito per denunciare l’indifferenza di Parigi verso le zone periferiche, dimenticate, neglette, poco considerate. La sua storia mi aveva colpito perché non si trattava di una cittadina isolata, brutta o senza potenzialità. Tournus sorge in una posizione strategica, a 350 chilometri da Parigi e circa 100 da Lione, con cui è collegata da una delle principali autostrade del paese e dalla ferrovia. Non è un luogo sperduto, né anonimo: il paesino è costruito sulla riva destra della Saona e ospita l’abbazia di Saint-Philibert, una delle più antiche d’Europa. Per secoli, Tournus è stata una delle tappe obbligate dei pellegrini che dal nord Europa viaggiavano per raggiungere Roma: la sua posizione strategica ha portato ricchezza e l’ha resa il centro principale dell’area. Nonostante queste risorse, negli anni Dieci Tournus stava “morendo” e sembrava incapace di trovare una sua ragione di esistere. Poi le cose sono cambiate.
Nel 2018 la via del centro, rue de la République, era piena di negozi vuoti e distrutti, ora non ha quasi più uno spazio libero, ci sono ristoranti, un bar, due panetterie, alcuni uffici assicurativi, persino un negozio di cd e vinili. La strada è sufficientemente larga da ospitare una corsia per le auto, che l’attraversano di tanto in tanto. Il sabato, giorno di mercato, si riempie di piccoli banchi che vendono soprattutto prodotti alimentari. La piazza principale è dominata dal municipio, un edificio bianco, con una scalinata doppia che porta al primo piano; le luci natalizie, bianche anch’esse, coprono ogni finestrona e rendono il palazzo meno austero. La porta dell’ufficio del sindaco Bertrand Veau dà direttamente sull’ingresso, dove una sua collaboratrice accoglie i visitatori e chiede di attendere sull’unico divano presente nella stanza. La situazione è tutt’altro che formale, e dà l’idea della prossimità che esiste tra gli eletti e gli elettori dei piccoli comuni. Veau è diverso da quando l’ho incontrato quattro anni fa, meno ingenuo, più attento alle parole che utilizza. Più politico, ma sempre entusiasta e allegro.
Ha fatto carriera, nel 2021 è stato eletto al consiglio regionale nella lista di sostegno alla candidata del Partito socialista, e può rivendicare con orgoglio i primi risultati del suo mandato: «Dal 2018 hanno aperto 16 piccoli negozi, erano 110 quando sono stato eletto e oggi sono 126, soltanto uno spazio fronte strada è sfitto, e non credo lo resterà per molto. Ci sono ancora alcuni negozi da ristrutturare, stiamo contattando i proprietari per chiedergli di farlo o altrimenti vendere».
Il lavoro di Veau e della nuova maggioranza, naturalmente appoggiato dai cittadini che hanno contribuito alla sua elezione, comincia a dare i suoi frutti anche nel mercato immobiliare. Alice, che lavora in una delle agenzie del corso principale, mi spiega che gli affari vanno bene: «La nuova amministrazione ha investito molto sul centro e si vede: oggi la domanda è maggiore dell’offerta. Inoltre, la pandemia ha cambiato lo sguardo dei potenziali acquirenti, sono aumentati i residenti di grandi città che, grazie allo smart working, decidono di trasferirsi qui o di comprare una seconda casa. I prezzi sono ancora molto bassi, circa mille euro al metro quadro».
Tuttavia, la pandemia ha anche lasciato tracce: l’autarchia non è un sistema sostenibile per i piccoli centri come per le metropoli, senza i visitatori esterni, turisti, lavoratori, uomini e donne d’affari, l’economia ristagna. Hiromi Nakaï e Gregor Hakkenberg sono una coppia tra i cinquanta e i sessant’anni. Lui olandese, lei giapponese, sono arrivati in Borgogna vent’anni fa con i due figli per abitare in campagna e lasciarsi alle spalle il caos di Amsterdam. Dopo un po’, la vita troppo lontana da un centro abitato li ha annoiati e hanno scelto Tournus per i suoi punti di forza: vicina all’autostrada, con una stazione ferroviaria legata a Lione e Parigi, un fiume e un centro con tutte le comodità. Hanno comprato un intero palazzo all’inizio della strada principale, vivono ai due piani superiori, mentre il piano terra è diventata sede della galleria di Hiromi, che vende dipinti, porcellane e altri oggetti artigianali: «I nostri clienti sono essenzialmente turisti o collezionisti che vengono a visitare la regione. La pandemia ci ha messo un po’ in difficoltà, speriamo finisca davvero», sospira.
Gregor, invece, è copywriter. La coppia si è subito integrata in città, tanto da partecipare attivamente alla lotta contro il centro commerciale: «Molte riunioni le abbiamo fatte qui, nella nostra galleria», rivendica Gregor, che non può votare ma se potesse voterebbe France Insoumis, il movimento di sinistra di Jean-Luc Mélenchon.
Il Covid ha segnato un po’ tutti a Tournus, forse proprio perché è arrivata nel bel mezzo della ripresa della città, che aveva puntato tutto sulla prossimità, sui contatti stretti tra le persone, sul senso di comunità. La proprietaria dell’albergo dove ho dormito mi racconta di essere rimasta per mesi senza clienti: «Guardavo il telefono sperando che squillasse e aggiornavo la mia email in modo compulsivo. Ma niente. È dura dal punto di vista economico e anche psicologico: siamo un albergo, non è facile reinventarsi qui, in provincia. Senza gli aiuti dello Stato non ce l’avremmo fatta. O forse sì, ma insomma, avrei dovuto mettere mano ai risparmi di una vita». Per questo, ritiene che la gestione di Emmanuel Macron sia stata efficace, al netto delle inevitabili difficoltà e confusioni. Un’opinione condivisa nel piccolo paese, e che rappresenta uno dei punti di forza della ricandidatura del presidente.

Per altri, l’aumento di burocrazia causato dalla pandemia comincia a rappresentare un problema. Romain e Christophe hanno aperto la loro brasserie, les Arcades, nella piazza principale del paese nel 2019. Entusiasti di avviare un’attività in proprio dopo aver lavorato in hotel e ristoranti di alto livello, consapevoli di trovare terreno fertile grazie all’attivismo dell’amministrazione comunale, si sono subito dovuti confrontare con le chiusure e i divieti causati dal Covid. Romain si dice contento del suo nuovo lavoro, ma mi spiega anche che inizia a percepire i danni psicologici della pandemia: «Noi siamo qui per rendere piacevole la giornata alle persone non per controllare, la prima interazione con il cliente è ormai la richiesta del pass sanitario».

Risalendo rue de la République, sulla destra, c’è un piccolo vicolo che porta a uno spiazzo. In un edificio che si affaccia sulla Saona abitano Giorgia Zunin e Geoffrey Gautheron, architetti, arrivati subito dopo l’elezione del sindaco Bertrand Veau. Prima di Tournus vivevano in Svizzera, poi si sono resi conto che in Borgogna c’erano delle prospettive interessanti: «È una delle poche regioni senza scuole di architettura, ma possiede un patrimonio storico ricchissimo che necessita di ristrutturazione e manutenzione. Poca concorrenza, tanto lavoro, la nostra attività ci ha messo poco a ingranare», mi spiegano mentre prendiamo un caffè nel loro atelier.
Giorgia è specializzata in valorizzazione del patrimonio culturale, mentre Geoffrey lavora su progetti contemporanei. La complementarietà delle loro competenze è un punto di forza in un posto come la Borgogna: «Tournus è stata progressivamente abbandonata dagli anni Sessanta, e questo ha rappresentato un problema per la vitalità del centro. Ma paradossalmente ha preservato gli edifici e le case, che sono rare, come se qualcuno le avesse messe sotto una campana di vetro: oggi recuperarle è un’operazione che ha valore architettonico e culturale. È un bel punto di partenza».
A Tournus, il ritmo è esattamente quello che ci si aspetta da un piccolo paesino di provincia. Alle 12 i ristoranti si riempiono, dopo le 13 non entra più nessun cliente e alle 14 il pranzo è ampiamente finito; dalle 19, quando chiudono i negozi, il paese si svuota, complici probabilmente le vacanze di Natale: alcuni esercizi, come la libreria principale e un paio di ristoranti, sono chiusi per ferie, il vento freddo e il nevischio non fanno venire una gran voglia di passeggiare.
Macron, in questi anni di mandato, ha avuto parecchia difficoltà a entrare in connessione con la Francia rurale, che pure lo ha votato: a Tournus è arrivato in testa con il 23,5% dei voti alle elezioni presidenziali del 2017, e la sua lista è arrivata prima alle elezioni europee del 2019, con il 22,6%. Votare non vuol dire capirsi, mi spiega il sindaco Bertrand Veau: «Il presidente è un vero “cittadino”, un uomo abituato alla grande città, che vive nel mondo degli affari e della finanza. All’inizio c’è stata una grande difficoltà di comunicazione e gli scontri con i sindaci sono stati continui. Poi, piano piano, il rapporto è cambiato, migliorato. Parlo per noi, ma oggi la collaborazione con i servizi dello Stato è migliorata, e sono convinto che sia migliorata su diretta indicazione dell’Eliseo».
Veau lega il cambio di atteggiamento dell’amministrazione all’evoluzione di Macron, oggi più consapevole della ricchezza del suo territorio e meno distante. È un approccio che dice molto dell’esasperato centralismo francese, evidente non soltanto nella dinamica concreta del rapporto tra poteri, sbilanciata a favore dell’Eliseo, ma anche in queste convinzioni. Vere, esagerate? Poco importa: di fatto, la Francia è pur sempre una monarchia repubblicana anche per questo.