È qui la fiera! - Marat n. 34
Il Salone dell’Agricoltura è il principale evento della campagna, un’occasione per tutti i candidati, che passano ore tra stand, animali e interviste. Viaggio nel regno della Francia profonda
Il primo dettaglio che noto sono le voci, in particolare gli accenti. Un insieme di suoni diversi, rari da ascoltare a Parigi, dove il francese è uniforme, pulito, un segno distintivo dell’élite e del nord del paese. Al Salone Internazionale dell’Agricoltura l’accento parigino, invece, quasi scompare, si confonde tra tutti gli altri; superata la grande entrée che porta al primo padiglione, si lascia Parigi e si entra in Francia, immediatamente immersi in un florilegio di inflessioni, cadenze, pronunce diverse, più sporche, più vere. La linea 12 della metropolitana, quella verde che taglia da nord a sud la città, sbarca centinaia di persone al minuto a Porte de Versailles, la fermata che serve l’immenso complesso espositivo dove è organizzato l’evento. Già nei vagoni si percepisce una differenza, basta soffermarsi sui visi dei passeggeri pressati l’uno accanto all’altro, caratterizzati da un abbigliamento insolito: giacconi con segni di riconoscimento o loghi di associazioni agricole e aziende del settore, scarpe sporche di terra, visitatori che consultano la cartina del parco delle esposizioni per decidere cosa vedere.
Il Salone è l’evento della Francia profonda per eccellenza. Più di mezzo milione di visitatori, circa mille spazi espositivi, 4000 animali divisi in 400 razze, 1400 allevatori, 3670 giornalisti accreditati, tutto diviso in 7 padiglioni, ognuno con una sua funzione. Il primo e più grande è anche quello più caratteristico: è dedicato agli animali, alcuni come capre, maiali e agnelli chiusi in recinti, altri, come le vacche, semplicemente legati a delle staccionate. Mentre si è distratti, può capitare di essere richiamati all’ordine dai campanelli degli allevatori, che di tanto in tanto fanno “sfilare” gli animali lungo una sorta di corridoio indicato dalle zampe disegnate sul pavimento verde, portandoli da una parte all’altra dell’enorme fiera. Negli altri padiglioni, invece, sono presenti gli stand dove si vendono e offrono prodotti locali, ristoranti, negozi, studi radio e tv per i dibattiti.

L’odore è forte, a tratti fastidioso per chi non è abituato alla promiscuità con le vacche, alte quasi quanto un uomo e pesanti anche più di una tonnellata. Non è la mia prima volta al Salone, quando studiavo a Parigi con i miei compagni di corso passavamo giornate intere agli stand regionali, ma non per questo girare tra bovini e suini è naturale per me, che sono nato al centro di una grande città di mare e ho sempre vissuto in contesti urbani. Sébastien, al suo quinto Salone dell’Agricoltura, ha portato le sue vacche di razza Hérens dall’Alta Savoia per esporle a pochi metri dalla grande entrée, e mi spiega perché è importante per un allevatore essere presente: «Per fare festa!», scherza ridendo e levando la mano come se avesse un calice di vino. Poi, più seriamente, mi dice che è necessario per «far conoscere la razza ai produttori e ai commercianti, l’abbiamo importata da pochi anni ed è nostro interesse che si sviluppi, diventi più utilizzata. I risultati sono lenti ma arrivano, vent’anni fa in Francia c’erano un centinaio di capi Hérens, oggi sono più di mille».
Il tema centrale dell’edizione 2022 sono les retrouvailles, il ritrovarsi dopo due anni di pandemia: il Salone dell’Agricoltura fu il primo grande evento a essere interrotto a causa del Covid nel 2020, esploso proprio durante l’esposizione, che nel 2021 è stata annullata.
Secondo un lungo pezzo del New Yorker dedicato all’evento, la salonology, la “salonologia”, diventa il passatempo preferito dei media francesi per qualche settimana, ogni marzo, particolarmente in un anno elettorale. L’ex presidente Jacques Chirac (1995-2007) è stato il re indiscusso del Salone per decenni: tra il 1972 e il 2011 saltò soltanto un’edizione per problemi di salute, diceva di essere un «mangiatore di mele» e di «amare accarezzare il culo delle vacche». Sosteneva, inoltre, che la capacità di avere a che fare con gli animali fosse un prerequisito fondamentale per un candidato alla presidenza della Repubblica. François Hollande, negli anni da segretario del Partito socialista, era celebre per le sue maratone di intere giornate al Salone, una caratteristica che lo accomuna a Marine Le Pen, altra politica molto a suo agio tra gli stand regionali e gli animali.

Se questo è vero per alcuni, per altri lo è molto meno. Nicolas Sarkozy non amava il Salone, anche perché astemio, e le sue passeggiate si ricordano soprattutto per gli alterchi con i visitatori. La giornata dei politici si divide tra gli agricoltori, gli espositori, assaggi di numerosissimi prodotti locali e centinaia di strette di mano ai curiosi che si fermano per capire chi si nasconde dietro la selva di telecamere e microfoni. Così, nel 2008, mentre l’ex presidente cercava di stringere una per una le mani tese, uno dei curiosi rifiutò platealmente: «Ah no, non mi toccare. Mi sporchi», un insulto a cui Sarkozy rispose senza farsi pregare: «Eh ben casse-toi alors, pauv’ con!», «e allora vattene via, povero idiota!», una formula che scatenò polemiche per settimane e che è diventata talmente celebre da meritare una pagina Wikipedia.
François Mitterrand disprezzava la manifestazione, e si fece vedere soltanto nel 1981 per mai più tornarci; Jean-Luc Mélenchon è molto critico con il mondo agricolo francese, e da anni non si presenta. Anche il presidente Macron non è mai stato particolarmente a suo agio tra le vacche, anche se negli ultimi anni, dicono molti agricoltori con cui ho parlato, il rapporto con questo mondo è migliorato. Non che fosse particolarmente difficile, visti gli inizi: nel 2017, l’allora candidato fu accolto con il lancio di un uovo che lo colpì in piena fronte, mentre nel 2018 la sua prima visita da presidente fu piuttosto movimentata tra contestazioni e fischi.

«Quest’anno abbiamo avuto il record di delegazioni politiche, 65 visite rispetto alle 51 del 2017. Le presenze generali sono in linea con le edizioni precedenti, e non era scontato dopo due anni di chiusura». Nel suo ufficio al primo piano del padiglione più grande, Arnaud Lemoine, direttore generale del CENECA, Centre national des expositions et concours agricoles, è visibilmente soddisfatto della fiera di cui è il principale organizzatore. E mi spiega come mai i politici fanno a gara per ottenere l’attenzione dei media e degli agricoltori, passando ore tra gli animali: «Ci sono tre motivi. Il primo è ipocrita: fare una foto con un animale, farsi vedere in mezzo agli agricoltori è un ottimo momento di comunicazione politica. Ma ce ne sono anche due più sinceri e naturali: i candidati che hanno un vero rapporto con i territori sono sempre meno, e venire qui permette di fare il giro di Francia in pochi chilometri quadrati. Infine, il Salone è una macchina mediatica che non esiste da nessun’altra parte: per una settimana si parla soltanto di agricoltura, è impossibile non esserci, perché questa manifestazione è parte dell’immaginario francese».
Almeno, in tempi normali. La guerra in Ucraina ha completamente oscurato il Salone, anche se i candidati non hanno rinunciato alla consueta passerella. Negli stand si beve, si mangia, si canta, e ogni tanto si alza la testa attirati dal movimento improvviso della folla causato dai candidati: «Chi è adesso?», si chiede una signora arrivata dalla Lozère, un dipartimento del sud del paese, con i suoi nipoti, mentre a pochi metri da lei un gruppo di persone accanto allo stand dei Paesi Baschi intona un canto popolare che non riesco a decifrare. La candidata di passaggio è Marine Le Pen, con l’inconfondibile chioma bionda e un sorriso a trentadue denti. La leader del Rassemblement national è nel suo elemento, le persone la salutano, qualcuno grida «Marine presidente!», gli adolescenti presenti si battono per ottenere un selfie per poter dire agli amici di avere una foto con un personaggio famoso. È, probabilmente, l’ennesimo segno della normalizzazione di Marine Le Pen, ormai considerata come “moderata”.

Éric Zemmour, invece, ha voluto dare una dimostrazione di forza, caratteristica consolidata della sua strategia elettorale. Mentre gli altri candidati hanno scelto una visita sobria, accompagnati da pochi membri dello staff, il leader di Reconquête era seguito da un centinaio di militanti che con cori, urla, applausi scandiva il ritmo della sua visita. Una scelta «poco appropriata» secondo molti, anche se il polemista è piuttosto apprezzato dal settore: secondo un sondaggio pubblicato dall’Istituto Ipsos per il Cevipof di Sciences Po, il 24% dei lavoratori del settore è intenzionato a votare per Emmanuel Macron, il 20% per lui, in grande vantaggio rispetto a Jean-Luc Mélenchon (13%), Marine Le Pen (10%) et Valérie Pécresse (7%). Sono numeri che possono cambiare nettamente, considerato che gli agricoltori sono la categoria dove l’astensione è più alta: soltanto il 45% dichiara di avere intenzione di andare a votare contro il 65% dell’elettorato.

Nelle conversazioni spunta spesso il concetto di «sovranità alimentare», in un paese che resta tra i primi produttori mondiali ma che in dieci anni ha perso quote di mercato in modo repentino, diventando il sesto esportatore nel 2019 (nel 2005 era il terzo). Un problema pressante, che la politica dovrà affrontare perché l'equazione sarà particolarmente difficile da risolvere a causa degli interessi divergenti. Se gli agricoltori possono trarre maggiori profitti dall’aumento del prezzo dei cereali, per esempio, scaricando l’aumento dei costi dei fertilizzanti e della benzina sui trasformatori, gli allevatori sono particolarmente in difficoltà, perché il prezzo del mangime è salito alle stelle. Senza contare le ricadute sulla grande distribuzione, che punta su prezzi accessibili per ritagliarsi il suo spazio in un contesto molto competitivo.
Dopo una sua intervista televisiva in uno degli studi approntati al Salone, ho incontrato brevemente il ministro dell’Agricoltura francese, Julien Denormandie, popolarissimo nell’ambiente: «La novità con lui è che si occupa dei dossier e li risolve», ha spiegato Christiane Lambert, la presidente della FNSEA, il principale sindacato del settore. Denormandie conosce bene il mondo agricolo, è un ingegnere agrario, e prima di entrare in politica ha lavorato per l’Amministrazione dei ponti, delle acque e delle foreste (Ipef), un corpo tecnico interministeriale. Denormandie è considerato “il soldato” più fedele di Emmanuel Macron, che lo ha nominato direttore della sua campagna elettorale: giovane, ambizioso ma silenzioso, lavoratore, tecnico, è il ministro perfetto per il presidente. Rarissime le polemiche, poca visibilità, grande soddisfazione del suo settore.

Denormandie mi spiega quali sono le priorità francesi per affrontare la crisi alimentare che arriverà: «Bisogna occuparsene a livello europeo, facilitando l’accesso alle materie prime, soprattutto per i paesi membri più dipendenti dalle esportazioni russe e ucraine». A questo bisogna aggiungere delle misure di «protezione» per gli agricoltori, non soltanto a livello nazionale ma comunitario, permettere uno sfruttamento eccezionale dei terreni «a maggese» e infine guardare anche ai paesi limitrofi. Denormandie si dice «preoccupato» dall’impatto che questa crisi potrà avere sui paesi nordafricani e mediorientali, già toccati dalla siccità e dall’aumento dei prezzi.
Alain, che di mestiere fa l’allevatore di bufale, un bovino che nel suo dipartimento, l’Ariège, vicino ai Pirenei, utilizzano per fare la carne perché «meno grassa e meno calorica rispetto al manzo» e non utilizzato per la mozzarella come in Italia, mi dice con la stessa genuinità con cui spiega le tecniche su come si allevano le bufale, perché Denormandie è apprezzato dal settore: «È sufficiente dire che durante il suo mandato non ci sono state grandi proteste. Chiaro, no?». Chiarissimo, direi.
Consigli di lettura e fonti
Qual è stato l’impatto della guerra in ucraina sulle elezioni presidenziali? Emmanuel Macron ha guadagnato diversi punti, secondo l’Ipsos è ormai al 30,5% nelle intenzioni di voto, ben 16 punti avanti Marine Le Pen, ferma al 14,5%. Segue Éric Zemmour al 13% e si registra il primo sorpasso di Jean-Luc Mélenchon, al 12%, su Valérie Pécresse, all’11,5%.
L’Opinion fa il punto sulla dimensione strategica del Salone dell’agricoltura, ormai al centro della riflessione sulla sovranità europea, mentre Les Echos si concentra sul rapporto tra il mondo agricolo e l’Eliseo (e cita il sondaggio Ipsos-Cevipof). Un lungo pezzo del Monde racconta invece il peso dell’evento sul dibattito politico.
Ho recuperato un bel pezzo del Parisien, che nel 2016 racconta le primarie dei Républicains proprio a partire dal Salone dell’agricoltura, e un bel “coccodrillo” dell’Est Républicain per la morte di Jacques Chirac.
Il lungo reportage sul New Yorker del 2016, molto divertito dalla “fiera” annuale.