C’è un nuovo mondo in Francia - Marat speciale primo turno
I due partiti della Quinta Repubblica francese non esistono più. E al secondo turno si ripeterà la sfida tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen, ma con alcune differenze sostanziali
C’è un nuovo mondo in Francia. I due partiti che hanno strutturato la Quinta Repubblica francese, i Républicains neogollisti e il Partito socialista, non esistono più: Valérie Pécresse ha ottenuto il 4,8%, Anne Hidalgo l’1,7%. Entrambe candidate di due partiti irrilevanti e incapaci di interpretare la nuova fase politica inaugurata da Emmanuel Macron e Marine Le Pen nel 2017. Il 24 aprile 2022 sarà ancora una volta una sfida tra questi due candidati, che ottengono un risultato migliore di quanto previsto alla vigilia. Jean-Luc Mélenchon conclude la sua terza campagna presidenziale a un passo dalla qualificazione al secondo turno, con un risultato che premia la sua strategia elettorale e dimostra che il popolo di sinistra esiste, e avrà un peso tutt’altro che irrilevante in quello che accadrà nelle prossime due settimane.
Nei prossimi giorni leggeremo le analisi sui flussi elettorali che compongono il nuovo elettorato di Emmanuel Macron, che cresce di 4 punti rispetto al 2017, ma appare chiaro che il centrodestra moderato che cinque anni fa aveva votato per François Fillon, portandolo a un dignitoso 20%, malgrado gli scandali e le difficoltà, sia completamente esploso. Gli elettori neogollisti si sono divisi tra Éric Zemmour, Marine Le Pen e proprio Emmanuel Macron, che rappresenta ormai saldamente il nuovo centrodestra francese. I paragoni storici sono sempre pericolosi, oltre che inefficaci, e le personalità del generale De Gaulle e Macron sono incomparabili, ma l’attuale presidente è riuscito in qualche modo a replicare il fenomeno gollista: un partito ampio, che si pone nell’alveo del centrodestra ma è in grado di rappresentare anche la sinistra, un movimento al centro del sistema politico ma non per questo “centrista”. Tanto che, nel suo discorso di domenica sera, Macron ha dichiarato di «voler tendere la mano a tutti coloro che vogliono lavorare per la Francia. Sono pronto a inventare qualcosa di nuovo per unire le diverse convinzioni e sensibilità».
Certo, la grande differenza con il gollismo è che Macron rappresenta appieno il blocco elitario composto da pensionati con un alto livello di istruzione, quadri, professionisti che vivono nelle grandi agglomerazioni urbane, mentre ha grande difficoltà a parlare all’elettorato popolare, che invece votava eccome per De Gaulle. Però, appunto, il sistema politico di oggi non è comparabile con quello degli anni ’60, e gli elettorati di questa fase storica appaiono al loro interno molto omogenei dal punto di vista sociale. Esaurita l’ideologia, è tornata la coscienza di classe.
In questo contesto, la tendenza al voto utile è stata evidente. Gli elettori che in un primo momento sembravano orientati per i candidati con meno possibilità di accedere al secondo turno, hanno deciso di spostarsi fin da subito per chi appariva più competitivo, e questo spiega il risultato disastroso di Valérie Pécresse (perlopiù a vantaggio di Macron) e quello molto deludente di Éric Zemmour (favorevole invece a Le Pen). Questa dinamica, tuttavia, rende il secondo turno più aperto: Emmanuel Macron e Marine Le Pen possono fare affidamento su un bacino potenziale “naturale” più stretto di quanto ci aspettassimo, rendendo gli elettori di Jean-Luc Mélenchon molto più decisivi rispetto al 2017.
Stavolta le prime dichiarazioni dell’estrema sinistra sono state meno ambigue rispetto a cinque anni fa: diversi esponenti di punta della France Insoumise hanno ripetuto sui vari canali televisivi che «nemmeno un voto deve andare all’estrema destra», e al comitato di Jean-Luc Mélenchon i suoi militanti hanno gridato «Fuori i fascisti, fuori i fascisti», durante il discorso di Marine Le Pen.
Lo stesso Mélenchon ha utilizzato parole molto chiare. Dopo aver invitato i suoi elettori a «non commettere errori irreparabili», ha tranquillizzato i francesi sulle priorità del suo partito: «Sappiamo per chi non voteremo mai». Poi, per non lasciare dubbi, ha ripetuto la stessa frase per ben quattro volte: «Non bisogna dare nemmeno un voto a Marine Le Pen». La posizione di Mélenchon non è soltanto “repubblicana”, è anche interessata: il leader della France Insoumise è probabilmente alla sua ultima elezione presidenziale, e il suo partito esce molto rafforzato dal primo turno. Il suo interesse è lasciare in eredità una formazione in grado di unire la sinistra radicale con quella ecologista e ciò che resta di quella socialista, un’unione possibile soltanto con un discorso senza sconti nei confronti dell’estrema destra. È una ricomposizione difficile, ma non è escluso che nelle prossime settimane vedremo un tentativo di accordo tra ecologisti, socialisti e insoumis per le elezioni legislative previste a giugno. Il problema è: chi negozia per gli ecologisti e i socialisti? Entrambi i partiti non sono soltanto scomparsi dal punto di vista elettorale, ma rischiano la bancarotta. In particolare gli ecologisti, che hanno chiesto un prestito di circa 8 milioni di euro e non raggiungono il 5% necessario per ottenere i rimborsi elettorali. Senza contare gli odi personali e le profonde differenze politiche. Insomma, l’equazione non sarà semplice.
Se l’élite della France Insoumise ha preso una direzione chiara, gli elettori sembrano pensarla diversamente, a giudicare dal primo sondaggio Ipsos condotto dopo la pubblicazione dei risultati.
Questo dimostra che il secondo turno non è scontato, e un’elezione di Marine Le Pen, come citato nel numero di Marat di sabato, resta improbabile ma non impossibile. Consapevole di questa difficoltà, Emmanuel Macron ha tenuto un breve discorso, ma stavolta molto offensivo e accorato, invitando i francesi a sceglierlo per altri cinque anni: «L’unico progetto credibile contro l’alto costo della vita è il nostro. L’unico progetto dei lavoratori, di tutti coloro che sono sull’orlo della disoccupazione, è il nostro. L’unico progetto per la Francia e per l’Europa, è il nostro. Io credo in noi, in tutti noi, qualunque siano le nostre origini, i nostri territori, qualunque siano le nostre opinioni e le nostre convinzioni. Quindi, durante i prossimi quindici giorni, non risparmiamo sforzi perché niente ancora è stato raggiunto. Bisogna essere umili, determinati. Bisogna convincere tutti».
Per evitare gli errori del 2017, quando il candidato festeggiò l’accesso al secondo turno in una brasserie del sud della capitale e poi scomparve per due giorni, organizzando un evento elettorale solo il mercoledì successivo, lo staff di Macron ha previsto un calendario molto serrato. Domenica sera alle 22.30 si è riunita la segreteria politica per discutere la strategia da tenere nelle prossime due settimane, ed è stato subito comunicato che Macron trascorrerà l’intera giornata di lunedì negli Hauts-de-France. Un luogo non casuale: nella regione si trova il dipartimento del Pas-de-Calais, collegio elettorale dove Marine Le Pen è eletta deputata. Inoltre, anche l’agenda di martedì di Macron sarà dedicata alla campagna elettorale, stavolta nella regione Grand Est, a Strasburgo. Insomma, al presidente è subentrato finalmente il candidato.
E poi c’è Marine Le Pen, che ottiene il miglior risultato della storia del suo partito, premiata da una campagna elettorale molto apprezzata, che suona come una forte sanzione alle velleità di Éric Zemmour. Adesso per lei comincia un’altra partita, più complessa, perché il rischio di un nuovo fronte repubblicano, l’union sacrée di tutti i partiti contro la possibilità di una sua elezione, è tangibile. Certo, Éric Zemmour ha annunciato senza ambiguità che voterà per lei, e le proposte di Le Pen seducono quasi un terzo degli elettori di Jean-Luc Mélenchon. Però, il ballottaggio è da sempre una montagna insormontabile da scalare. Si pone, infine, una domanda: quanto interesse ha Marine Le Pen a recuperare toni e proposte di Éric Zemmour, quando l’architrave della sua strategia è stato migliorare la propria immagine e diventare “presidenziabile”? Forse per questo l’agenda comunicata in tarda serata appare meno forsennata rispetto a quella di Macron: la candidata del Rassemblement national passerà i primi due giorni della settimana a Parigi, dove terrà una serie di riunioni di partito e poi una conferenza stampa. Tra le righe, possiamo leggere la sua volontà di riposare, immaginare una nuova strategia e cominciare a preparare il dibattito televisivo, vero momento spartiacque delle prossime due settimane.
Perché la verità è che, più di ogni altra volta, sarà la televisione la vera regina delle elezioni presidenziali.
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