Le campagne parallele - Marat n. 40
Macron ha condotto una prima settimana offensiva, cercando di convincere gli elettori di Mélenchon, decisivi in vista del 24 aprile. Le Pen invece comincia a scontare i limiti del suo programma
Il sole di Marsiglia batte sulle persone accorse al giardino del Pharo, un magnifico palazzo affacciato sul Vecchio Porto della città provenzale, tra i contesti più belli di Francia dove tenere un comizio. Mentre i militanti con le magliette bianche, rosse e blu e la scritta “Macron avec vous” che risalta, risalgono la collina che dalla strada porta alla grande villa costruita da Napoleone III, ognuno con la sua bandiera francese ed europea, una madre insegue il figlio con la crema protettiva. È un’immagine che riassume bene la giornata, più simile a un pic-nic di vacanza e di relax dopo un inizio di aprile segnato dal gelo e dal maltempo, che a una scelta «tra due modelli di civiltà», come ha detto il presidente per motivare i suoi sostenitori ad andare a votare il 24 aprile.
Il bel tempo, il luogo magnifico e il discorso appassionato contrastano con la scarsa partecipazione al comizio di Macron, che chiude la prima settimana di campagna elettorale di fronte a circa duemila persone, mentre il luogo scelto ne avrebbe potute ospitare almeno cinquemila. Anche il fervore, malgrado le immagini messe a disposizione delle televisioni dall’équipe del candidato (è una prassi di tutti, e rendono i colpi d’occhio dei comizi meno veritieri), non è quello che ci si aspetterebbe dal pubblico. Macron non è più la novità travolgente che conquistò l’Eliseo nel 2017, ma un politico apprezzato per come ha gestito le crisi che la Francia ha attraversato durante il suo mandato. Poco entusiasmo, tante domande, qualche diffidenza sulla sua personalità, giudicata arrogante e lontana dalle preoccupazioni quotidiane dei francesi. Non esattamente gli ingredienti per una campagna elettorale indimenticabile.
Marsiglia non è una scelta casuale: Macron adora la città, è tifoso dell’Olympique Marseille, l’ha scelta per la visita extra-parigina più lunga del suo mandato, trascorrendovi tre giorni interi lo scorso settembre. Naturalmente, ci sono anche motivazioni politiche: Marsiglia è tra le città più giovani di Francia, un luogo dove i problemi dell’integrazione della comunità magrebina sono evidenti, dove la disoccupazione e la povertà sono ben al di sopra della media nazionale, il patrimonio immobiliare vetusto e la criminalità difficile da contenere. La circoscrizione elettorale di cui è parte la città vota in massa Jean-Luc Mélenchon, eletto deputato proprio qui e arrivato in testa il 10 aprile con il 31% dei voti, staccando Macron di 8,5 punti.
Così, di fronte ai suoi militanti, Macron costruisce un discorso pensato su misura per gli elettori della France insoumise: giovani, attenti all’ecologia e al futuro. Un tentativo di seduzione iniziato già a Fouras, dove lo avevo seguito il 31 marzo scorso, quando il presidente aveva introdotto il concetto di «pianificazione ecologica», spiegando di riconoscere il «copyright» a Mélenchon, il primo a introdurlo: «Non prendetela come una conversione», aveva detto ridendo nel suo piccolo comizio al mercato della città, «ma io sono una persona pragmatica, se c’è qualcosa che funziona la adotto». A Marsiglia, il concetto viene declinato in modo più concreto: «Il mio prossimo primo ministro avrà la delega alla pianificazione ecologica, e sarà accompagnato da due altri ministeri: quello della pianificazione energetica e quello della pianificazione ecologica territoriale. Sapete che io non credo nella decrescita, ma la crescita o è verde, o non è crescita». Basterà? È l’alchimia del prossimo governo che può convincere un indeciso? Per ora i flussi elettorali registrati dai sondaggi dicono che non è così, anche se il vantaggio del presidente è più netto della sera del primo turno.
Il comizio marsigliese chiude una settimana fittissima per il presidente-candidato, che ha voluto recuperare il ritardo accumulato a marzo. Nella tarda serata di domenica, un paio d’ore dopo la pubblicazione dei risultati, il suo staff ha inviato una breve nota ai giornalisti che seguono la campagna elettorale, dando appuntamento al quartier generale del comitato, 58 rue du Rocher, alle 8 del mattino successivo. Due bus sono a disposizione della stampa per seguire Macron negli Hauts-de-France, regione settentrionale che confina con il Belgio e la Germania. La destinazione precisa è sconosciuta, e viene svelata in autobus, dopo circa mezz’ora di strada. Denain, poi Carvin. Sono città simboliche, si va in terra lepenista: a Denain, Macron ha ottenuto il 14,7%, Marine Le Pen il 41,6%; a Carvin lo scarto è di poco più ridotto, 19,4% contro 40,7%. L’idea è portare la campagna elettorale nei feudi dell’avversaria, che invece ha passato la sua settimana in zone molto più amichevoli.
Le visite di Macron, sempre complicate per il suo servizio di sicurezza, in tempi elettorali si trasformano in un incubo: il candidato non rispetta tempi e indicazioni, agisce in modo imprevisto e costringe tutto il servizio d’ordine a seguirlo suo malgrado, provando per quanto possibile a minimizzare i rischi, setacciando la folla e filtrando eventuali contestatori violenti che possono mimetizzarsi tra i simpatizzanti. A Denain questa difficoltà è evidente: alcune persone attendono ordinate accanto alle transenne che arrivi il loro turno per discutere con il presidente, porgli qualche domanda, sperare in una stretta di mano. Molte altre, invece, sono venute per ascoltarlo, ma sembrano piuttosto ostili: qualcuno urla insulti, altri espongono cartelli con slogan contro di lui. Il servizio d’ordine fa il suo mestiere, aiutato dal fatto che la piazza principale di Denain è divisa in due dalla strada che l’attraversa, e così è più semplice separare, lentamente, i più amichevoli dagli altri, come accade per esempio a un gilet giallo venuto a protestare, allontanato in modo brusco dai gorilla.
L’obiettivo della visita è saturare lo spazio mediatico, produrre immagini e momenti “notiziabili” da fornire ai tg e ai talk show, farsi vedere capace di discutere con chi non è d’accordo, provare a convincerlo: le visite di Macron durano giornate intere e l’agenda non è mai rispettata perché il presidente può perdere anche un quarto d’ora a discutere con una sola persona finché non ha l’impressione di avere fatto di tutto per farle cambiare idea. Non è una campagna elettorale voto per voto, ma ci siamo molto vicini. Quando, insieme ad altri colleghi della stampa, chiediamo informazioni sui tempi, sul programma e sull’organizzazione, il suo staff, in genere, allarga le braccia: «Ne sappiamo quanto voi, può andare avanti per ore, è lui il candidato ed è lui che decide». D’altronde, durante la sua conferenza stampa fiume di marzo, dopo quattro ore di domande e risposte, al suo consigliere stampa che gli faceva segno di “tagliare”, Macron rispondeva ad alta voce: «No, perché? Ancora un po’!».
Questa strategia ha messo sotto pressione Le Pen, che probabilmente non si aspettava di trovare un avversario già sul terreno il lunedì mattina dopo il primo turno, e impegnato a dare titoli ai tg delle 13. La leader del Rassemblement national aveva previsto una settimana più tranquilla, dedicata alla sua immagine “presidenziabile”: lunedì nessun evento, se non una riunione della segreteria politica a porte chiuse, poi due conferenze stampa, una martedì sulla democrazia e l’esercizio del potere, e una mercoledì sulla politica estera, immaginate per strutturare una proposta politica accettabile non soltanto dal suo elettorato, ma dalla maggioranza dei francesi.
Un’idea che è stata subito rinnegata lunedì mattina, quando al Rassemblement national hanno visto l’agenda fittissima di Macron e hanno organizzato in fretta e furia un evento “di terreno” per evitare di lasciargli il monopolio delle immagini. Troppo poco e troppo tardi, soprattutto a causa del cambio di atteggiamento di media e opinione pubblica, che hanno iniziato a studiare e analizzare seriamente le proposte estremiste della candidata del Rassemblement national.
La dinamica della campagna non è l’unico problema politico che deve affrontare Le Pen. Éric Zemmour è stato il suo parafulmine, monopolizzando l’attenzione e attirando su di sé le critiche di storici, giornalisti, avversari, intellettuali per le continue provocazioni. Oggi che il polemista è fuori dal dibattito pubblico, la stampa ha smesso di occuparsene, concentrandosi sul progetto lepenista, duramente criticato con copertine e inchieste che mettono in guardia gli elettori dal pericolo dell’estrema destra. Certo, esiste una parte del paese che rifiuta la scelta tra Macron e Le Pen, come dimostrano le manifestazioni di questi giorni a Parigi e l’occupazione degli studenti della Sorbona per protestare contro un risultato che non li rappresenta. Tuttavia, per adesso, questo sentimento non contagia l’opinione pubblica.
Gli attacchi della stampa hanno generato una reazione scomposta da parte della candidata. L’inizio settimana di Le Pen ha mandato in frantumi l’immagine di una leader ormai moderata, allevatrice di gatti (ne possiede 11), lontana dagli atteggiamenti estremi di suo padre e capace di interpretare la principale preoccupazione dell’elettorato: la perdita di potere d’acquisto. Alla conferenza stampa di martedì, lo staff della candidata non ha concesso l’accredito alla troupe di Quotidien, un programma molto seguito che può essere paragonato a Propaganda Live, che in Italia va in onda su La7. Non è una novità, i giornalisti di Quotidien non sono accreditati da anni agli eventi di Marine Le Pen, che tuttavia è stata interrogata sulla questione e ha risposto in modo poco democratico: «Non ci sono giornalisti a Quotidien, non è un programma di informazione, fa intrattenimento, a volte molto divertente, eh. Ci sono talmente tante persone che chiedono di essere accreditate che preferiamo accettare i giornalisti piuttosto che i programmi di divertissement. Sono a casa mia, nel mio movimento e nel mio quartier generale, sono io che decido chi è giornalista e chi no, lo rivendico. Ho deciso io, personalmente, anni fa, questa esclusione: fanno intrattenimento e di conseguenza non mi sento obbligata ad accreditarli».
Il giorno dopo la candidata ha continuato la sua guerra sotterranea contro alcuni media, non avvertendo Le Monde, l’Express, Libération e l’Obs della sua visita a un cementificio. Costretta a giocare la partita della presentabilità nei confronti dell’establishment, Le Pen ha cominciato dunque a commettere errori, ancor più evidenti nella sua conferenza stampa di mercoledì, dedicata alla politica estera. In un esercizio che non la vede completamente a suo agio, la leader del Rassemblement national ha tratteggiato il posto della Francia nel mondo in caso di sua elezione: ridefinizione dei trattati europei a seguito di un grande vertice a Bruxelles, abbandono del comando integrato della Nato (organizzazione definita come un «protettorato» americano esercitato sul suolo europeo), ripensamento delle relazioni transatlantiche, annullamento di tutti i programmi militari comuni con la Germania, attaccata più volte a causa di «divergenze strategiche inconciliabili». Tutto ciò, in un contesto di apertura nei confronti della Russia, con cui, invece, le divergenze non sono «inconciliabili», dato che nelle intenzioni della candidata è necessario «un riavvicinamento strategico» tra Nato e Mosca.
Una contestatrice mostra un cartello con un cuore che raffigura insieme Marina Le Pen e Vladimir Putin, durante la conferenza stampa, prima di venire brutalmente placcata e trascinata all’esterno dal servizio d’ordine
Mercoledì 20 aprile, i due candidati si affronteranno in un dibattito organizzato dalle due principali reti televisive, France 2 e Tf1: l’ultima occasione, probabilmente, per invertire una tendenza che sembra essere sempre più chiara.
Consigli di lettura e fonti
Le sfide di Macron in questa ultima settimana di campagna elettorale, analizzate dal Parisien; un pezzo simile sul Figaro, che scrive invece del «piano per vincere» del presidente. Una lunghissima intervista a Macron pubblicata dal Point, in cui il candidato affronta molti argomenti, dalla relazione con la Russia al suo rapporto con le forze armate e le sfide geopolitiche del futuro.
Il programma del Rassemblement national distruggerebbe quasi tutte le alleanze coltivate dalla Francia in campo internazionale, scrive Les Echos; Libération si concentra sul difficile rapporto tra Le Pen e la libertà di stampa, l’Express ha pubblicato un bel pezzo sulle serate “mondane” della candidata, obbligata a frequentare una parte dell’establishment per migliorare la sua immagine. Infine, un lungo ritratto di Caroline Parmentier, capo ufficio stampa di Marine Le Pen e tra le artefici della campagna senza effetti speciali ma molto concreta della candidata, sul Monde.