Le contraddizioni europee di Macron - Marat n. 28
Il presidente francese è un leader nazionale in Europa e un leader europeo in Francia. È una sua particolarità molto utile in entrambi gli scacchieri, ma prima o poi dovrà chiarire alcune ambiguità
Nel 2017, Emmanuel Macron diventa il punto di riferimento di tutti gli europeisti del continente. Per la prima volta, il candidato favorito alla presidenza di uno dei maggiori paesi dell’Unione costruisce la sua campagna elettorale su una visione del futuro dell’Europa, sceglie le bandiere blu con le 12 stelle come elemento fondamentale della scenografia dei suoi comizi, e introduce la sua passeggiata trionfale, il 7 maggio 2017 al Louvre, con l’inno alla gioia di Beethoven.
Dopo cinque anni, Macron è ancora il leader nazionale che più di tutti cerca di rivolgersi a un pubblico europeo, oltre che francese. Allo stesso tempo, avendo basato parte del suo successo nazionale sull’europeismo, è considerato dall’elettorato il candidato più capace di rappresentare gli interessi francesi in Europa e all’estero.
Quando mercoledì 19 gennaio è salito sul palco del Parlamento europeo a Strasburgo per il suo primo discorso da presidente di turno del Consiglio dell’Unione europea, è stato facile intravedere queste due dimensioni. Il dibattito con i parlamentari europei, durato oltre tre ore e molto seguito dalla stampa francese e internazionale, ha mostrato quanto la campagna elettorale transalpina travalichi i confini nazionali.
Yannick Jadot, candidato alle presidenziali degli ecologisti, Manon Aubry della France Insoumise, il movimento di estrema sinistra guidato da Jean-Luc Mélenchon, Jordan Bardella, presidente del Rassemblement national di Marine Le Pen, e François-Xavier Bellamy, capogruppo dei Républicains, il centrodestra moderato, tutti membri del Parlamento europeo, si sono alternati per attaccare il bilancio del presidente, parso piuttosto contento di rispondere punto su punto ai suoi avversari politici.
Per Macron, questo terreno di scontro è favorevole. Sin dall’inizio del mandato la sua posizione di leader francese e insieme europeo mette in difficoltà gli avversari. Il Rassemblement national di Marine Le Pen è stato costretto a cambiare radicalmente linea sull’Europa: non intende più uscire dall’euro, né mette più in discussione la necessità di ripagare il debito pubblico. Questi cambiamenti, tuttavia, non sono stati accompagnati da un lavoro su una visione alternativa, e la proposta di rendere il diritto interno francese superiore a quello europeo è di difficile realizzazione con i trattati attuali (da cui però Le Pen non vuole più uscire). Insomma, per il Rassemblement national l’Europa continua a rappresentare un fattore di grande debolezza.
I Républicains sono da sempre divisi tra una corrente più euroscettica, che ha votato no al referendum sull’istituzione della costituzione europea nel 2005, e una corrente molto più vicina alle idee di Emmanuel Macron. La loro candidata, Valérie Pécresse, è esponente della seconda, ma questo sta cominciando a rivelarsi un problema: difendere la stessa posizione del presidente rende complicato fare campagna contro di lui, soprattutto se l’Europa è uno dei temi al centro del dibattito. Anche la sinistra, divisa in molteplici candidati, sull’europeismo è profondamente spaccata.
Il presidente francese non è soltanto un leader nazionale. E quando parla ama rivolgersi a tutto il continente, a maggior ragione adesso che il suo paese riveste un ruolo istituzionale rilevante. Dopo cinque anni di grandi discorsi, conferenze internazionali, interviste fiume sull’Europa, Macron comincia a scontare la sua ambiguità, mi dice Shahin Vallée, suo ex consigliere al ministero dell’Economia e oggi direttore del programma geo-economico del German Council on Foreign Relations: «Il presidente non ha sciolto la sua principale contraddizione: spinge per una sovranità europea in materia di difesa e politica estera, ma allo stesso tempo non è pronto ad accettare un progetto federalista, perché in fondo Parigi non vuole rinunciare al suo potere di veto, che in caso di decisioni a maggioranza cadrebbe. Così, le sue “spinte” vengono percepite come un modo di aumentare l’influenza francese in Europa».
Ecco perché, come spesso accade, una sua frase un po’ provocatoria ha scatenato un dibattito europeo, prodotto analisi, retroscena, commenti in tutti i maggiori media dei paesi membri.
Stavolta, la frase è legata alla crisi tra Russia e Ucraina: da settimane Mosca ammassa truppe al confine, minacciando di intervenire direttamente, e con la forza, negli affari interni di Kiev. Macron non condivide da tempo la posizione americana di grande durezza nei confronti di Vladimir Putin, al contrario degli Stati che con la Russia confinano e si sentono protetti dall’ombrello di Washington.
Il presidente francese ha ancora una volta utilizzato una crisi concreta per rilanciare la sua idea di Europa sovrana: «Queste prossime settimane dovrebbero portarci a realizzare una proposta europea che costruisca un nuovo ordine di sicurezza e stabilità. Dobbiamo costruirlo tra europei, poi condividerlo con i nostri alleati nell’ambito della NATO, quindi proporlo per il negoziato con la Russia. La sicurezza del nostro continente richiede un riarmo strategico della nostra Europa come potenza di pace ed equilibrio, in particolare nel dialogo con la Russia».

Il punto è che questo è un filo rosso profondamente francese, e Macron resta sempre e comunque un leader nazionale che parla in Europa: è dalla fine della Seconda guerra mondiale che Parigi prova a costruirsi uno spazio autonomo rispetto alle grandi potenze e cerca di non essere schiacciata sulla politica estera americana. Le diffidenze con la strategia degli Stati Uniti sono evidenti, come dimostra la confidenza di un consigliere di Macron a Philippe Ricard, corrispondente diplomatico del Monde: «Vediamo lo stesso numero di camion, carri armati, personale che vedono gli altri. Osserviamo gli stessi movimenti, ma da tutto ciò non possiamo dedurre che un’offensiva sia imminente. Forse i nostri alleati britannici e americani possiedono informazioni che consentono loro di dire che l’offensiva è imminente. Ma in questo caso va condivisa». I movimenti preparatori a un’offensiva armata, conclude questa fonte, «non sono visibili».
L’analisi di Macron e del suo entourage ha provocato una serie di commenti poco convinti, specialmente da parte degli Stati baltici e dell’Europa orientale, ma anche dalla stampa americana. È una situazione ormai quasi classica, mi spiega David Cadier, ricercatore a Sciences Po, esperto delle relazioni tra l’est Europa e la Russia: «Molto spesso le posizioni di Macron non sono condivise in anticipo con gli altri leader, sono autonome e appaiono come fughe in avanti. Allo stesso tempo, con le sue dichiarazioni il presidente intende creare un dibattito su questi temi, che è assolutamente necessario, e va notato anche lo sforzo fatto negli ultimi anni. Macron ha nominato un inviato speciale per la Russia, il diplomatico Pierre Vimont, che ha una profonda conoscenza dei partner europei, con cui gli scambi sono continui. Inoltre, la posizione del presidente sulla Russia non è nuova: mi sembra che le critiche si concentrino sul messaggero per uccidere il messaggio, cioè che l’Europa deve essere più autonoma e che bisogna trovare il modo di discutere con la Russia».

Questo atteggiamento è dunque in parte ricercato: il metodo del presidente francese è creare le condizioni affinché si sviluppi un dibattito europeo sulle questioni internazionali. È d’altronde difficile costruire una posizione comune europea su questi dossier senza averne prima discusso, non soltanto tra leader, ma anche all’interno delle diverse opinioni pubbliche. Secondo Cadier, quando si accusa Macron di portare avanti delle posizioni che sembrano più francesi che europee, bisogna provare a cambiare prospettiva: «Decidere se l’Ucraina entri o meno nella NATO è una questione che tocca direttamente gli Stati dell’Unione europea. Sarebbe utile discutere di questo, perché quasi tutti i paesi membri, a cominciare da Francia e Germania, non sono affatto convinti che sia una buona idea. È un argomento che li divide dagli Stati dell’est, e quindi è una questione che va discussa. Il luogo per farlo è l’Europa, non la NATO: gli americani hanno chiaramente un’idea diversa su questi dossier, per loro la priorità è la Cina, non la crisi in Ucraina».
Tutto questo non sarà un argomento centrale della prossima campagna elettorale – certo, un conflitto armato tra l’Ucraina sostenuta da americani e britannici e la Russia cambierebbe tutto, ma per ora non è uno scenario che possiamo prevedere – ma contribuisce ad aumentare la credibilità di Emmanuel Macron. Inoltre, la classe politica francese, specialmente la destra in tutte le sue differenti gradazioni, da Pécresse a Zemmour, non è tradizionalmente ostile a Mosca. E quindi la posizione del presidente francese è difficilmente criticabile: “aperta” nei confronti di Vladimir Putin, ma ferma su altre questioni, come l’interferenza russa in Sahel. Anche sui dossier relativi ai confini orientali, in realtà, i francesi sono attenti a dimostrare solidarietà agli alleati, e hanno annunciato la propria disponibilità a inviare soldati in Romania, preoccupata dall’instabilità al confine.
Dunque, l’angolo di attacco trovato dagli altri candidati è sostenere che il semestre francese di presidenza del Consiglio europeo non serve a nulla se non a nutrire «la megalomania» del presidente, come ha dichiarato Marine Le Pen. È probabile che serva altro per mettere Macron in difficoltà.
Consigli di lettura e fonti
Una lunga analisi dello European Council on Foreign Relations sugli obiettivi della presidenza francese e su come Macron sta sfruttando la crisi in Ucraina per dare spazio alla sua agenda. L’articolo del Monde, dove si capisce meglio quale sia la strategia dell’Eliseo, Politico invece nota una certa unità nell’Occidente, malgrado le dichiarazioni del presidente francese e di quello americano.
Sull’Express, le difficoltà di Marine Le Pen sui temi europei. Foreign Policy fa un’analisi critica della strategia di Macron. Un’intervista all’ex ambasciatore francese a Washington, Gérard Araud, sulla crisi ucraina: aiuta a capire quali sono i modi, i toni e la visione del mondo di una parte della diplomazia transalpina.