Un’elezione già decisa? - Marat n. 35
Macron, il presidente-candidato, è sceso in campo ufficialmente e ha annunciato una grande riforma delle pensioni. I numeri nei sondaggi sono ottimi, ma la crisi in Ucraina offusca il dibattito
Guai a dire che l’elezione è decisa, già vinta: è questo il principale problema di Emmanuel Macron, secondo tutti i sondaggi largamente in testa al primo turno e vincitore con ampio margine al secondo. Nell’entourage del presidente, il timore è che durante questo ultimo mese di campagna elettorale, inizialmente previsto come il momento di incontro tra il presidente-candidato e il popolo, diventi molto complicato mobilitare l’elettorato, come ha spiegato un importante dirigente de La République en Marche! a Libération: «Quando facciamo volantinaggio nei mercati, ci rendiamo conto che le persone non vogliono i nostri volantini… Ci dicono che voteranno già per noi! Ma questo non è necessariamente positivo. Primo, andranno davvero alle urne? Secondo, sanno cosa proponiamo se non ci leggono? Siamo di fronte a un comportamento illeggibile degli elettori, poco comprensibile per i militanti».
I sondaggi, tuttavia, sono molto solidi. Dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, Macron ha guadagnato quasi dieci punti, incrementando un vantaggio già molto ampio. Inoltre, la progressione avviene in tutte le fasce di elettorato. Secondo un sondaggio condotto dall’istituto Elabe, Macron si attesta al 33,5% (+8,5% in un mese) e raggiunge il 38% tra i francesi con più di 65 anni, un gruppo di elettori le cui percentuali di affluenza sono tradizionalmente più elevate.
Il fenomeno si osserva anche nei sondaggi che misurano la popolarità: il 51% esprime un’opinione positiva del presidente, secondo il barometro mensile condotto dall’istituto Ifop, percentuale che sale al 62% tra gli elettori con più di 65 anni. Il punto debole di Macron è la fascia d’età tra i 25 e i 38 anni: 22% nel sondaggio Elabe sulle intenzioni di voto, 45% di opinione positiva nel sondaggio Ifop sulla popolarità. Sono cifre che consideriamo “problematiche” per Macron, ma gli altri candidati pagherebbero per averle. Lo scarso coinvolgimento che sta provocando questa campagna elettorale viene da qui.
Il rischio “smobilitazione” che può colpire un candidato sicuro di vincere esiste, ma è vero anche il suo contrario: gli elettori e i militanti degli avversari potrebbero demotivarsi, dopotutto perché impegnarsi in un’elezione già decisa in partenza? Ciò che probabilmente preoccupa di più lo staff di Macron è il rischio di delegittimazione, sottolineato dal sondaggista Mathieu Gallard nel numero 33 di Marat: per Macron potrebbe essere difficile governare se, passata la crisi e celebrata la vittoria, l’elettorato si “risvegliasse” ritrovandosi con l’impressione di non aver partecipato a un dibattito vero sulle riforme da fare nei cinque anni successivi. Un sondaggio Odoxa pubblicato questa settimana sottolinea la contraddizione: il 79% dei francesi pronostica la vittoria di Emmanuel Macron, ma soltanto il 44% la desidera.
È anche vero che, per lo stesso motivo, il candidato Macron è più ascoltato degli altri: i francesi sono convinti che sarà rieletto, quindi leggono e valutano con attenzione ciò che intende fare. E questo ha anche un effetto demotivante sugli avversari, incapaci di far passare le loro proposte anche prima della crisi in Ucraina, probabilmente perché convinti di perdere. Un deputato de La République en Marche! con cui ho parlato mette in evidenza la differenza tra il progetto di Macron e quello degli altri: «Abbiamo lavorato molto sul programma, sappiamo su quali temi fare campagna elettorale. Gli avversari sembrano più occupati ad alimentare polemiche reciproche che a convincere i francesi». Non è importante che questo sia vero o meno (Jean-Luc Mélenchon e Valérie Pécresse hanno programmi dettagliatissimi), ma aiuta a capire quale sarà una delle strategie che i portavoce del presidente utilizzeranno nei dibattiti televisivi delle prossime settimane.
Jean-Luc Mélenchon ha presentato il suo programma elettorale (e i relativi finanziamenti), in un video di tre ore
Il programma di Macron, in verità, non è ancora disponibile, ma alcune informazioni sono state anticipate. Un articolo di Les Echos pubblicato giovedì ha rivelato il nuovo progetto di riforma delle pensioni di Macron, già promessa durante la campagna elettorale del 2017, presentata nel 2019 e poi abbandonata a causa delle proteste e della pandemia. Oggi i francesi possono andare in pensione a 62 anni, il progetto prevede di aumentare progressivamente l’età minima a 65 anni entro il 2032, e di ridurre i regimi speciali previsti oggi dalla legge, che è diversa per ogni categoria professionale, mantenendone con ogni probabilità soltanto tre: pubblico impiego, dipendenti privati, autonomi. La riforma è giudicata necessaria perché il sistema pensionistico è in deficit di circa 10 miliardi di euro ogni anno, secondo i calcoli del Consiglio di orientamento delle pensioni: con l’aumento di tre anni dell’età minima si compensa il costo delle prestazioni sociali e il sistema dovrebbe tornare in equilibrio entro un decennio. Per equilibrare il sacrificio richiesto, il presidente ha promesso di aumentare le pensioni minime a 1.100 euro.
L’annuncio è stato molto criticato dai sindacati, che protestano da sempre contro questa ipotesi di riforma, e da due dei principali sfidanti di Macron, Jean-Luc Mélenchon e Marine Le Pen, che al contrario intendono abbassare l’età pensionabile a 60 anni. Éric Zemmour propone di alzare il tetto a 64 anni, Valérie Pécresse a 65 anni, come il presidente. Oltre alle considerazioni tecniche sulla necessità o meno di intervenire, è interessante sottolineare una delle argomentazioni più utilizzate per squalificare il progetto. Yves Veyrier, segretario generale di Force Ouvrière, uno dei tre principali sindacati, ha spiegato che la proposta è in qualche modo disonesta, perché Macron trasforma l’elezione in una sorta di «pseudo-referendum» sulla riforma delle pensioni: eletto, il presidente potrà dire di avere la legittimità popolare per andare fino in fondo, quando invece il voto è stato influenzato dalla guerra in Ucraina. È un ragionamento che non tiene conto che l’elettorato è adulto, e che se vota per Emmanuel Macron sa cosa attendersi. Tuttavia, questo genere di critiche è probabilmente il principale problema politico che il presidente dovrà affrontare.
Per raccontare la sua campagna sui social media, Emmanuel Macron ha deciso di pubblicare un video alla settimana, una miniserie intitolata le Candidat, in cui spiega le ragioni per le quali ha deciso di ricandidarsi e tratteggia il suo progetto per il prossimo mandato. Nel secondo episodio, pubblicato venerdì, Macron ha affrontato immediatamente il problema sollevato dall’opposizione sindacale, annunciando un «nuovo grande dibattito permanente» con i francesi, da tenere «anche dopo le elezioni» per «coinvolgere maggiormente i nostri compatrioti». Una formula un po’ vaga per ammettere che, insomma, il tema esiste.
Come dicevo, progetti, programmi e agenda del presidente-candidato sono avvolti nel massimo riserbo, non soltanto nei confronti della stampa, ma anche verso chi, in teoria, dovrebbe partecipare attivamente alla campagna elettorale: «Non è prevista la pubblicazione di un organigramma con i compiti precisi dello staff, l’organizzazione si basa su più gruppi, autonomi gli uni dagli altri, con un funzionamento a compartimenti stagni. Ognuno lavora nella sua bolla, senza sapere nel dettaglio cosa fanno le altre bolle», ha raccontato il Monde in un lungo articolo. L’obiettivo è evitare fughe in avanti non gradite, e distillare qualche anteprima alla stampa per gestire il dibattito sulle proposte più importanti. Inutile dire che per i giornalisti lavorare in questo modo è piuttosto complesso e inusuale, ma da sempre Macron agisce così, accentrando tutto e fidandosi di pochissimi.
La necessità di controllare ogni minimo dettaglio ha in realtà depotenziato la prima uscita di Macron, che lunedì 7 marzo ha animato un dibattito in una sala di Poissy, periferia nord di Parigi. L’evento era organizzato affinché il presidente potesse rispondere alle domande del pubblico e mostrarsi in modo naturale, occupando la scena mediatica per un paio di giorni. Ma di fatto sembrava troppo preparato a tavolino, tanto che il giorno successivo France Inter ha rivelato che le domande erano state rilette e approvate dall’organizzazione: «Macron a Poissy non ha fatto un incontro politico, ha fatto teatro. Non incontra i francesi, ma i suoi supporter», ha detto Marine Le Pen, candidata del Rassemblement national.
È probabile che il prossimo evento, previsto giovedì a Pau, piccola città del sud della Francia e feudo di un fedelissimo di Macron come François Bayrou, sarà più spontaneo. In ogni caso, i dieci giorni di pausa tra il primo e il secondo evento dimostrano quanto la campagna elettorale sia poco rilevante nell’agenda del presidente.
Consigli di lettura e fonti
Macron non è soltanto candidato, ma anche presidente. Ed è il leader occidentale che parla più di tutti gli altri con Putin: i due si danno del “tu”, si conoscono da tempo e hanno costruito un rapporto personale che, dicono entrambi, si basa sul «rispetto reciproco». Questo è uno dei motivi per cui Putin, tra tutte le possibilità, ha scelto Macron come interlocutore in occidente. Su questo rapporto consiglio un bel pezzo di Politico, che si chiede «Che diavolo pensa di fare Macron con Putin», e un altro del Figaro che racconta i retroscena dietro ogni telefonata. Poi c’è l’Opinion che prova a interpretare come mai i due presidenti parlano così tanto (15 volte da dicembre, più un incontro di persona). Infine, un riepilogo di France Info, che spiega a cosa servono queste telefonate.
Il progetto della riforma delle pensioni, rivelato da Les Echos, che ha poi pubblicato un lungo pezzo per spiegare nel dettaglio di cosa si tratta, le reazioni dei sindacati e delle opposizioni, raccolte dal Monde. Il Parisien, invece, si concentra su come il presidente abbia cambiato idea su questa riforma, che rappresenta il «dossier maledetto» del suo mandato.
L’Opinion prova a mettere insieme i puntini per analizzare l’agenda del candidato Macron, molto difficile da interpretare; il Monde racconta il culto del segreto costruito attorno alla campagna elettorale del presidente; Libération raccoglie le preoccupazioni della maggioranza presidenziale e le sue difficoltà nel suscitare l’interesse dei francesi per le elezioni. Sempre secondo Libération, l’idea del dibattito permanente è «opportunistica».