Tra Macron e Mélenchon sarà uno scontro all’ultimo seggio - Marat n. 48
Il presidente rischia seriamente di non ottenere la maggioranza assoluta nell’Assemblea nazionale e gran parte del merito va a Nupes, l’alleanza di sinistra arrivata in testa alle elezioni legislative
Il secondo turno delle elezioni legislative, in programma il 19 giugno, sarà serrato. In linea con le previsioni, il primo turno di domenica restituisce una situazione incerta e un rischio elevato che il presidente Emmanuel Macron non riesca a ottenere la maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale.
Se si osservano le percentuali a livello nazionale, la tendenza del primo turno delle elezioni presidenziali si conferma. Il paesaggio politico è spaccato in tre poli: uno di estrema sinistra che raccoglie circa il 25,6%, uno centrale che arriva al 25,2%, e uno di estrema destra, con il Rassemblement national che migliora sensibilmente la propria percentuale rispetto alle elezioni legislative del 2017 (19,1% contro 13,2%) ma si conferma meno capace di attrarre elettori rispetto alle elezioni presidenziali (Marine Le Pen aveva raggiunto il 23,15% due mesi fa). Queste percentuali, tuttavia, rischiano di essere fuorvianti, perché il sistema elettorale non premia il primo partito a livello nazionale. Le elezioni legislative sono, di fatto, 577 mini-presidenziali: il territorio è diviso in altrettanti collegi uninominali che eleggono il proprio deputato in un sistema maggioritario a doppio turno, con delle regole che premiano i partiti più forti. Se nessuno raggiunge il 50% dei voti validi al primo turno (e vota più del 25% degli iscritti alle liste elettorali), al ballottaggio si qualificano i primi due candidati per numero di voti, e tutti gli altri che superano il 12,5% degli iscritti. A causa dell’elevatissima astensione, arrivata fino al 52,3%, mai così alta nella Quinta Repubblica, avranno luogo soltanto due triangolari (almeno secondo i dati a disposizione domenica sera) e solo quattro deputati, sempre secondo i primi risultati, sono eletti al primo turno.
Ciò che conta, dunque, è la capacità di essere competitivi nel maggior numero possibile di collegi: ottenere il 20% a livello nazionale è un ottimo risultato, ma se nella maggioranza dei collegi si arriva terzi serve a poco. Così, se lo scenario è effettivamente tripolare a livello nazionale, in Parlamento non sarà così: in gran parte delle circoscrizioni andrà in scena un bipolarismo chiaro tra l’alleanza che sostiene Emmanuel Macron e l’unione dei partiti di sinistra creata da Jean-Luc Mélenchon. Il leader della France insoumise è riuscito in un’impresa inimmaginabile fino a poche settimane fa: riunire la sinistra sotto un unico candidato per circoscrizione, in modo da non disperdere voti ed essere competitivi al ballottaggio. Secondo le proiezioni, la Nupes, questo il nome dato all’alleanza, potrebbe ottenere oltre 150 deputati, un risultato che avrà chiaramente un impatto sulla legislatura: molti seggi implicano finanziamenti pubblici solidi, tempo di parola assicurato nei media, capacità di lavorare a proposte di legge e un’occasione per creare radicamento territoriale nella circoscrizione di appartenenza (i deputati possono istituire una “permanenza” nel loro collegio e assumere dei dipendenti che si occupano di gestire i rapporti con l’elettorato e gli eletti locali).
Se da un lato, per la sinistra resta il problema degli oltre 80 candidati “dissidenti”, che non hanno accettato l’accordo sotto la coalizione Nupes e hanno deciso di mantenere la propria candidatura, dall’altro lato, in un contesto politico da ricostruire, con il presidente uscente che nel 2027 non potrà ricandidarsi, questo test può essere un punto di partenza per strutturare una proposta politica di sinistra competitiva dopo 15 anni dall’ultimo accesso al secondo turno delle elezioni presidenziali.
La maggioranza presidenziale uscente ha condotto una campagna elettorale a bassa intensità, con oltre 80 candidati “dissidenti”, membri de La République en Marche che hanno deciso di correre lo stesso anche se il partito aveva preferito un altro candidato. Il caso più eclatante è stato quello di Stéphane Vojetta, deputato uscente nella circoscrizione estera dell’Europa occidentale, a cui era stato chiesto di non ricandidarsi per fare spazio all’ex primo ministro Manuel Valls, candidato ufficiale di Ensemble. Vojetta si è candidato lo stesso e si è qualificato al secondo turno, eliminando Valls, arrivato terzo. Emmanuel Macron si è espresso soltanto alla fine di questa settimana, e l’ambiente al quartier generale nell’ottavo arrondissement di Parigi rifletteva lo scarso investimento: nessun deputato uscente o pezzo grosso del partito, la comunicazione si è limitata a un brevissimo intervento della prima ministra, Élisabeth Borne, e di un rapido botta e risposta con la stampa concesso dal segretario del partito, Stanislas Guerini.
Dietro le quinte, i macronisti ammettono che senza maggioranza assoluta «il risultato sarà deludente», come mi ha detto un membro di Ensemble, tradendo una certa apprensione. Anche le dichiarazioni ufficiali fanno capire il nervosismo: nei pochi casi in cui il ballottaggio sarà tra un candidato di Nupes e uno del Rassemblement national, il partito di Macron ha dichiarato che non darà indicazioni di voto, ma sceglierà «caso per caso», un’ambiguità molto criticata dalla sinistra e dalla stampa. Il governo potrebbe essere direttamente colpito da un risultato modesto tra una settimana: i ministri candidati sono 15, tutti qualificati al ballottaggio, ma almeno 4 di questi (Amélie de Montchalin della Transizione ecologica, Clément Beaune degli Affari europei, Stanislas Guerini della Funzione pubblica, Justine Benin, sottosegretaria con delega agli affari marittimi) rischiano seriamente di essere sconfitti. In questo caso, la regola non scritta è che il ministro non eletto si dimetta, con evidenti ripercussioni sugli equilibri governativi.
Il Rassemblement national non migliora soltanto la sua percentuale su base nazionale rispetto al 2017, ma anche la propria competitività nei collegi uninominali: qualifica circa 200 deputati, mentre 5 anni fa i candidati al secondo turno erano soltanto 119. Per quanto riguarda i deputati eletti, le proiezioni indicano una forchetta tra i 25 e i 45 seggi. È un grande passo in avanti rispetto al 2017, quando l’allora Front national elesse soltanto 8 parlamentari, ma non ancora sufficiente per superare il grande limite dell’estrema destra, irrimediabilmente poco competitiva nei contesti dove non conta la percentuale, ma la capacità di eleggere il proprio personale politico. Infine, Les Républicains, il centrodestra moderato, conferma il proprio radicamento sul territorio e ottiene il 13,5% (la candidata alle presidenziali Valérie Pécresse si è fermata al 4,7% due mesi fa), qualificando più di 100 candidati al ballottaggio. Secondo le proiezioni il partito riuscirà a ottenere più di 50 deputati, confermando gran parte degli uscenti. Anche se si tratta di un numero inferiore al 2017, quando il centrodestra riuscì a comporre il primo gruppo di opposizione (112 deputati con il 15,7% dei voti a livello nazionale), la morte politica preannunciata alle elezioni presidenziali non si è confermata. Non solo: se il partito di Emmanuel Macron non otterrà la maggioranza assoluta, i Républicains potrebbero diventare l’ago della bilancia nella prossima legislatura. Appuntamento tra sette giorni.