L’ultimo quartiere popolare di Parigi - Marat n. 50
La Goutte d’Or è stato a lungo considerato un paradiso per lo spaccio e la criminalità, ma le cose stanno cambiando rapidamente. Un reportage
Ho messo piede per la prima volta alla Goutte d’Or nel 2007. Mio zio, napoletano trapiantato a Parigi dagli anni Ottanta, la chiama «la Pignasecca francese», e in effetti il paragone ha una sua forma di legittimità: si tratta di un quartiere popolare, conosciuto in tutta la città per il suo mercato africano che occupa completamente rue Dejean, una piccola traversa che si affaccia su boulevard Barbès, la strada principale del 18ème arrondissement. Più che altro, la prima cosa che ho pensato quando sono uscito dalla metropolitana di Chateau Rouge, era di trovarmi a Dakar o in una città dell’Africa subsahariana. Alla fine della scala mobile che porta sul marciapiede si è investiti da una moltitudine di persone di origine africana, che affollano i negozi di spezie, verdure coloratissime e di qualità introvabili in altre zone della città, a cui si affiancano due pescherie, due macellerie, e un negozio specializzato in parrucche. Tutto sempre pieno da scoppiare, senza contare le bancarelle di fortuna che occupano le strade intorno al quartiere e vendono aggeggi elettronici, noccioline, caldarroste.
La Goutte d’Or è il quartiere dove abito quando passo dei periodi a Parigi, ed è un posto interessante per capire come cambiano i luoghi più vivi della capitale. Ariel Lellouche è assessore del 18ème arrondissement, vive alla Goutte d’Or da oltre trent’anni ed è il testimone del cambiamento del quartiere: «Quando mi sono trasferito io la situazione era infinitamente peggiore: gli immobili erano insalubri a causa dell’utilizzo del piombo e spesso erano tenuti in condizioni fatiscenti. Alla fine degli anni Novanta la situazione è lievemente migliorata, perché il comune ha iniziato a ristrutturare il patrimonio immobiliare, ma solo adesso, lentamente, si inizia a vedere qualche risultato». La povertà e l’insalubrità di molti edifici del quartiere hanno creato un ambiente favorevole alla criminalità, allo spaccio, alla prostituzione e alle preghiere di strada dei fedeli musulmani, che non hanno un posto dove praticare la loro religione.
Tuttavia la reputazione della Goutte d’Or non è un fenomeno recente: nel 1876 Émile Zola ambientò nel quartiere il suo romanzo L’Assommoir, tradotto in italiano con il titolo Lo scannatoio, che descriveva una situazione infernale per gli operai che vi abitavano. Secondo Lellouche, i problemi degli ultimi trent’anni sono stati alimentati dalla grande immigrazione centrafricana. Semplicemente, la densità abitativa, tra le più alte di Parigi – già di per sé la prima città europea per densità, con oltre 20mila residenti per chilometro quadrato – è troppo elevata: «La prima ondata di immigrazione è stata quella araba, nei quindici anni successivi alla guerra d’Algeria, tra gli anni Sessanta e Settanta. Gli algerini si sono subito adattati ai costumi locali, facendo un numero di figli in linea con i francesi, mentre la seconda ondata, quella centrafricana, cominciata alla fine degli anni Ottanta, ha continuato a fare sei, otto figli per donna. In un quartiere piccolo si nota subito». «Al di là del fatto che sia tranquillo o meno, il punto è che non c’è un gallo!», mi ha detto un residente nel quartiere utilizzando l’espressione gaulois, il modo in cui si indicano i francesi di origine caucasica, i galli preromani appunto. La criminalità, unita al fattore etnico, ha alimentato la reputazione della Goutte d’Or come di un posto pericoloso: Fox News ha inserito il quartiere nelle No Go Zones, aree sconsigliate agli americani in vacanza a Parigi, ed è spesso citato nei discorsi dell’estrema destra come esempio di quartiere «occupato» dai musulmani.
Per Lellouche il mercato di rue Dejean è una parte importante dell’identità del quartiere, ma ormai è saturo: «Rispetto alla quantità di persone che attira è troppo piccolo, la configurazione delle strade non consente una gestione ottimale, è oneroso da pulire e da mettere in sicurezza. Abbiamo provato più volte a spostarlo a La Chapelle [un quartiere confinante nel 18ème, ndr], ma non c’è stato verso». Un’ammissione di relativa impotenza rispetto a una consuetudine: il mercato è il ritrovo di moltissime comunità africane, che non abitano nel quartiere ma trascorrono qui la giornata, facendo la spesa, incontrando persone magari appena arrivate in Francia. È anche così che le comunità straniere sviluppano reti di mutuo soccorso, una situazione non molto diversa da quella creata dagli italiani a New York o dagli irlandesi a Boston tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. «Il punto è che Château Rouge è un nome conosciuto anche in Africa francofona. È una sorta di marchio, e i commercianti non vogliono separarsene», dice Lellouche.
A pochi passi dal mercato, in rue Léon, l’Institut des cultures d’Islam è uno dei luoghi che le comunità del quartiere utilizzano per parlarsi, come mi spiega Younes Rezzouki, che lavora alla tavola calda del centro, un palazzo di due piani in condivisione con la moschea del quartiere: «L’istituto è culturale, non religioso, al ristorante serviamo due pasti caldi al giorno per chi ne ha bisogno, e nel resto della struttura organizziamo esposizioni, eventi culturali, qualche piccolo concerto. Al piano di sopra abbiamo anche delle stanze che utilizziamo come residenze d’artista per chi viene dall’estero e vuole passare un periodo qui. L’idea dell’istituto è appunto costituire un ponte tra le diverse comunità: l’islam in sé non indica un qualcosa di preciso, ingloba culture lontanissime come quella indonesiana, la turca, l’iranica, poi ancora c’è quella araba a sua volta molto composita». Younes sottolinea che il legame con la moschea è molto labile, il palazzo è lo stesso ma le utenze sono rigidamente separate, così come l’affitto.
Malgrado le difficoltà, la situazione sta davvero cambiando. Questo grazie alla proprietà degli immobili, in gran parte in mano pubblica: ciò vuol dire case popolari, ma anche capacità di orientare il commercio e scegliere la tipologia di negozi da incentivare. La Goutte d’Or è stata la prima zona di Parigi a essere nominata «zona di sicurezza prioritaria» nel 2012 e poi «quartiere di riconquista repubblicana» nel 2019, un modo per aumentare la presenza della polizia che, insieme al miglioramento degli edifici, hanno portato investimenti e un generale rinnovo dell’arredo urbano. Il comune ha pedonalizzato una delle strade del quartiere, rue Richomme, dove si affacciano una scuola elementare e un asilo nido, ma ha soprattutto puntato moltissimo su rue Myrha, una delle strade più lunghe che molto probabilmente sarà anch’essa pedonalizzata nei prossimi anni. Negli ultimi cinque o sei anni, rue Myrha è diventata il centro della gentrificazione commerciale della Goutte d’Or: hanno aperto un caffè letterario, la Régulière, una boutique di vestiti africani, la Maison Château Rouge, un coworking di assistenza agli imprenditori, la Manufacture, un centro culturale che ospita una sala da concerti e un bar, il 360 Factory, un negozio di sneakers “premium” made in Africa, Sawa Shoes. Un notevole salto in avanti per una strada a lungo associata ai venditori di crack e alla prostituzione: uno studio dell’associazione Espoir Goutte d’Or pubblicato nel 1997 descriveva rue Myrha come «uno dei principali mercati del crack dell’est parigino».
Certo, questa gentrificazione non implica una facilità di dialogo tra le diverse comunità, malgrado gli sforzi. Nel quartiere ho provato più volte a chiacchierare con diversi commercianti della zona di origine straniera, specie araba, trovando porte piuttosto chiuse: nessuno voleva essere intervistato da un giornalista, nessuno in realtà voleva parlare anche quando ho rinunciato a qualificarmi come tale e ho provato ad attaccare bottone fingendo di voler comprare qualcosa, soprattutto nei negozi, numerosissimi, che vendono tessuti. Il problema è sottolineato anche da Jèrôme, che nel 2017 ha aperto con altri tre soci Le Myrha, un ristorante vegano proprio all’inizio della strada, che ha segnalato immediatamente la boboizzazione del quartiere in corso, un termine che indica l’arrivo dei bo-bo, i bourgeois-bohème, una locuzione che potremmo tradurre con “radical chic”: «Sono qui da cinque anni e capita spesso che i proprietari dei negozi circostanti, con cui mi incrocio ogni mattina, non mi salutino o evitino di guardarmi negli occhi. È una situazione strana, che notiamo anche nella nostra clientela, prevalentemente bianca: gli altri non si avvicinano». Le Myrha è anch’esso nato su iniziativa del comune che ha pubblicato un bando e ha assegnato il negozio fronte strada, e dopo un periodo di difficoltà causato dal Covid, si sta riprendendo grazie alla particolarità della sua cucina, che attira clienti da tutta la città ed è ormai segnalata dalle guide.
Un buon modo per capire il quartiere e le sue contraddizioni è passare per lo square Léon, il piccolo parco che si trova tra la stazione della metropolitana Chateau Rouge e la chiesa Bernard de la Chapelle, perennemente occupato dai ragazzini che giocano a pallacanestro o a calcetto e da signori anziani che utilizzano i tavolini per giocare a scacchi, dama e backgammon. Intorno al parco, quasi quotidianamente si formano gruppetti di ragazzini che spacciano, un’attività che viene percepita come «tollerata» dalla polizia, secondo diverse persone che abitano alla Goutte d’Or da decenni: «Meglio sapere dove accadono queste cose che lasciarle disperdere», è il ragionamento. È possibile che l’impressione di impunità sia data dal fatto che, malgrado gli sforzi, estirpare questo tipo di attività richieda tempo: il commissariato, che sorge a cento metri dal parco, assicura una certa sicurezza, le volanti circolano in continuazione così come le pattuglie appiedate, e per quanto tollerato, lo spaccio è continuamente al centro di fatti di cronaca e operazioni di polizia. Nel 2021 nove persone sono state arrestate con l’accusa di gestire la piazza di spaccio del quartiere e servire fino a 250 clienti al giorno, nell’aprile 2022 sono stati trovati 70 chilogrammi di resina di cannabis in quello che è stato definito «il forno» della Goutte d’Or, altre tre persone sono state arrestate. Lo spaccio non è l’unica realtà. Me ne sono accorto per caso: una settimana fa, mentre stavo cenando, ho sentito dei cori, poi un boato. Ho pensato immediatamente a una partita di una nazionale africana, le comunità che abitano nel quartiere vedono spesso le partite insieme, e poi festeggiano: quando a febbraio scorso il Senegal ha vinto la coppa d’Africa, la Goutte d’Or si è trasformata in una festa mobile per tutta la notte. Per curiosità ho controllato sulla app che utilizzo per vedere i risultati calcistici e non ho trovato partite. Così, sono uscito facendomi guidare dal rumore, e ho scoperto il torneo di calcio del quartiere: la Coupe d’Afrique des Nations du 18ème arrondissement. O meglio, della Goutte d’Or.
Le squadre iscritte sono 16 e rappresentano i paesi africani, i “calciatori” giocano per la squadra del loro paese d’origine, rigorosamente africano, a cui si aggiungono due altre squadre, quella internazionale e quella francese. Mamoudou, un ragazzo di poco più di vent’anni che ha avuto l’idea con tre amici, mi racconta: «Era ramadan e ci annoiavamo, tra colpi di caldo e giornate tutte uguali, allora abbiamo immaginato un evento che lo facesse passare più velocemente e fosse un modo per animare il quartiere». L’idea è “rubata” da una competizione più importante, la Coupe d’Afrique des Nations di Créteil (Can), periferia nord della città. Nel 2019, in modo simile a quanto fatto da Mamoudou, un gruppo di amici del piccolo comune decide di lanciare una competizione tra squadre divise secondo le origini dei partecipanti, replicando lo schema della Coppa d’Africa. L’idea prende piede, e qualche settimana dopo un altro comune di periferia, Evry, fa le cose ancora più in grande e ne organizza un’altra, stavolta contando sul sostegno di alcune stelle del calcio, come Didier Drogba (ivoriano ma cresciuto in Francia a partire dall’età di 5 anni), Karim Benzema (francese di origini algerine), Riyad Mahrez (algerino ma nato in Francia), o della musica, come il rapper Niska. Il format funziona, e viene replicato in altre città e quartieri, in alcune partite partecipano anche calciatori professionisti, come Pierre-Emerick Aubameyang (gabonese ma nato in Francia) in una Can organizzata a Le Mans, fino alla consacrazione: al suo quarto anno, la coppa ha riunito tutti i quartieri periferici di Francia e ha cambiato nome, si chiama Coupe National des Quartiers, e la finale del 2 luglio 2022 sarà trasmessa su Prime Video.
«Volevamo costruire qualcosa di locale, che aiutasse le comunità del quartiere a condividere delle serate di divertimento». A lungo termine, spiega Mamoudou, ci sarà un’associazione che oltre al torneo di calcetto promuoverà e darà una mano a chi vuole sfondare nella propria disciplina. Per questo la regola principale che si sono dati è «lasciare la nostra Can nel quartiere, alla Goutte d’Or, allo square Léon. Altri giocano a calcio a 11, sembra quasi una cosa professionale ed è bellissimo, ma per noi la coppa ha valore se resta nel quartiere e nello stade Léon, dove si gioca a 5. È anche la dimostrazione vivente che tutte queste comunità possono parlarsi». A giudicare dal pubblico e dal contesto, che attira persone tra i venti e i trent’anni, contornati da ragazzini più piccoli (e anche bambini e bambine di meno di dieci anni), l’esperimento funziona eccome, ha l’appoggio dei residenti, ed è un’occasione di pubblicità per i negozi circostanti. La maison Chateau Rouge ha prodotto le magliette di questa edizione, mi spiega con orgoglio Mamoudou: «Siamo quasi dei professionisti», ride.
Consigli di lettura e fonti
La trasformazione di rue Myrha, raccontata dal Figaro. La Goutte d’Or vuole diventare un modello nel contrasto alla criminalità, scrive il Parisien dopo l’ondata di arresti degli ultimi due anni. Les Echos invece si concentra sul rinnovo del patrimonio immobiliare, necessario per migliorare le prospettive della zona.
L’articolo di Fox News sulle No Go Zones di Parigi; la bella storia di Youssouf Fofana, fondatore della Maison Château Rouge, raccontata dal settimanale Madame, del Figaro. Il successo della Coppa d’Africa di Evry sorprende BfmTv e l’esperienza della Coppa della Goutte d’Or in un reportage di So Foot.