L’unione delle destre è una chimera - Marat n. 37
Zemmour ha organizzato il più grande comizio di questa campagna elettorale, al Trocadéro, ma la sua ambizione di diventare il candidato di un grande polo conservatore per ora è fallita
A volte i fatti politici più interessanti accadono dietro le quinte. Martedì 22 marzo, ore 23:43. Dopo tre ore di dibattito, dietro al grande palco del Dôme de Paris, Éric Zemmour e Valérie Pécresse, insieme a un autorevole rappresentante del Rassemblement national, Jordan Bardella, tornano nei rispettivi camerini per analizzare brevemente la prestazione. Gli staff avversari si incrociano e si salutano, alcuni in modo freddo, altri in modo più affettuoso: la destra francese è un microcosmo, si conoscono tutti tra loro, si ascoltano e discutono. Valeurs actuelles, settimanale di estrema destra molto vicino a Zemmour, ha organizzato questo evento, il Grande dibattito dei Valori, proprio per creare un momento di discussione tra le diverse sensibilità di quello che viene definito «il campo nazionale», la corrente di pensiero che potrebbe tenere insieme molti esponenti dei Républicains, del Rassemblement national e di Reconquête, il nuovo movimento fondato dall’ex polemista.
I circa quattromila presenti al Dôme de Paris hanno potuto assistere a quasi tre ore di “dibattito” acquistando un biglietto da 27,50 euro. Uso le virgolette perché in realtà, più che un dibattito, il format è stata una conversazione di circa venti minuti tra un giornalista del settimanale e un esponente politico. Oltre a Pécresse, Zemmour e Bardella, hanno partecipato la ministra Marlène Schiappa, venuta in territorio ostile a difendere le idee della maggioranza presidenziale, Eric Ciotti dei Républicains, e Marion Maréchal di Reconquête.
Il momento più interessante della serata, dicevo, non è accaduto sotto i riflettori.
Al primo piano, una sala stretta e lunga accoglie gli staff e gli invitati VIP, possessori temporanei di un braccialetto a strisce rosse e blu che dà diritto a entrare nel retropalco. È una situazione come tante in una campagna elettorale: quando si organizzano dibattiti, in televisione o altrove, il buffet post evento rappresenta uno dei rari momenti in cui gli avversari si incontrano, scambiano qualche parola, chiacchierano con i pochi giornalisti che hanno deciso di tirare tardi e provare a ottenere qualche analisi e confidenza da chi partecipa attivamente alla campagna elettorale.
La sala è talmente stretta e gremita da essere quasi irresponsabile: le mascherine non sono obbligatorie, nessuno ne indossa una, il Covid non è più argomento di conversazione. Come spesso mi è capitato in queste settimane di liberi tutti, ho avuto l’impressione di essere l’unico a infilare la mano in tasca per prendere la mia mascherina, un riflesso condizionato che non mi abbandona. Tre giorni dopo, Valérie Pécresse ha annunciato di essere risultata positiva al Covid, con lievi sintomi, e ha annullato gli eventi previsti per il weekend.
Tra la folla che cerca di arrivare al vino o alle tapas offerte dall’organizzazione, i giornalisti di Valeurs actuelles si riconoscono grazie a due caratteristiche: il grande badge rosso che indica la loro appartenenza alla testata e il sorriso stampato sul volto. Per il settimanale è la serata della consacrazione, una prova di forza che lo posiziona definitivamente al centro del panorama mediatico francese. Non soltanto Valeurs actuelles ha dato la possibilità ai suoi abbonati di partecipare a uno dei rari eventi mondani di questa campagna elettorale, ma ha soprattutto dato una spinta al progetto politico di una parte dell’establishment che sostiene la candidatura di Éric Zemmour: l’unione di tutte le destre.
Per ora, tuttavia, la scommessa sembra fallita. Zemmour oscilla tra il quarto e il quinto posto nei sondaggi, superato da Jean-Luc Mélenchon, in grande dinamica positiva, e da Marine Le Pen, che sta conducendo una campagna sobria e senza grandi comizi, una scelta al momento efficace. Zemmour, al contrario, ha puntato tutto sulle prove di forza, come mi ha spiegato una persona del suo staff visibilmente soddisfatta del dibattito di martedì sera: «Secondo noi i sondaggi sbagliano. I nostri comizi sono partecipatissimi, ogni volta che Zemmour organizza un evento, che sia una passeggiata in un mercato o una grande riunione pubblica, i francesi rispondono. Chi riesce a portare 50mila persone al Trocadéro?».
La piazza non è stata scelta casualmente, è la piazza della destra francese, luogo dell’ultimo grande comizio di Nicolas Sarkozy nel 2012 e di François Fillon nel 2017. E il comizio di domenica pomeriggio comincia proprio con un appello al popolo di destra, di cui Zemmour vuole farsi rappresentante: «Ho scelto il Trocadéro perché non ne posso più della divisione dei patrioti, che è la ragione profonda di tutte le nostre sconfitte. Avrò bisogno dei gollisti, dei sovranisti, di tutte le famiglie politiche della destra e di tutti i patrioti. Ho degli amici nei Républicains e li accoglierò, ho degli amici nel Rassemblement national che hanno il loro posto al mio fianco», ha detto Zemmour, di fronte a migliaia di persone, prima di rivendicare di essere l’unico candidato «di destra» di questa campagna e di chiamare per nome e cognome diversi esponenti del Rassemblement national e dei Républicains: «Applauditeli! È questa la mia idea dell’unione della destra!».
In politica non si può controllare tutto, e ci si muove anche per scommesse. Quella di Zemmour era diventare una calamita che attira le altre formazioni politiche, posizionarsi tra il Rassemblement national e i Républicains e riuscire a emergere come il punto di riferimento dei due elettorati. Alcune personalità di rilievo di questi due partiti hanno deciso di abbandonare la propria famiglia politica per unirsi a Zemmour, ma gli elettori, dopo una prima infatuazione per il polemista, non sono arrivati.
Persino l’annuncio dell’ingresso nel movimento di Marion Maréchal, nipote di Marine Le Pen e a lungo considerata come una delle poche personalità politiche in grado di parlare a tutta la destra, non ha funzionato: «In 6 mesi abbiamo avuto centinaia di personalità politiche che ci hanno raggiunto e oggi abbiamo più di 115mila iscritti. Un risultato incredibile in così poco tempo», mi ha detto una persona dello staff di Zemmour.
Jérôme Sainte-Marie, politologo, sondaggista e fondatore dell’istituto di sondaggi Pollingvox, conduce da tempo ricerche sulla composizione dei diversi elettorati francesi. Mi spiega che Zemmour aveva una strategia molto ambiziosa, probabilmente fuori dallo spirito del tempo: «I due principali candidati, Macron e Le Pen, possono contare su elettorati molto connotati dal punto di vista sociale. Macron rappresenta il blocco elitario, le classi medie superiori che hanno vinto la sfida della globalizzazione; Le Pen quello popolare, i dipendenti del settore privato che invece questa sfida l’hanno persa. Insieme formano un bipolarismo chiaro. Zemmour ha provato invece a tenere insieme differenti categorie, ha un programma economico che parla alle classi dominanti, ma prova a rappresentare anche gli operai e i piccoli impiegati grazie alla promessa di fermare il declino della Francia e di combattere l’immigrazione. È un lavoro ideologico, che però finora ha attirato soltanto il 10% dell’elettorato. Non abbastanza».
In molti, vicino al candidato, credono che sia abbastanza per quello che accadrà dopo le elezioni. «Dopo» è una parola che ho ascoltato spesso martedì sera, nella saletta del Dôme de Paris, e che per evidenti ragioni al Trocadéro non trova spazio: al comizio, Zemmour fa credere che la vittoria sia soltanto a un passo. Dietro le quinte, i suoi ammettono che il punto non è vincere queste presidenziali, ma fare un buon risultato al primo turno per presentarsi come unica opposizione di destra a Macron alle elezioni legislative, previste per il 12 e 19 giugno. L’analisi è che, la sera del 24 aprile, dopo il ballottaggio, con Le Pen sconfitta per la seconda volta e un risultato di Reconquête migliore di quello dei Républicains, la dinamica naturale di elettori e esponenti politici sarà allinearsi a Zemmour, che avrà quasi due mesi di tempo per rafforzare questo messaggio. Così, l’unione di tutte le destre riuscirà ad avere un peso rilevante nella futura Assemblea nazionale, contendendo gran parte dei 577 collegi uninominali alla maggioranza presidenziale.
Ma perché, dopo una sconfitta – arrivare quarti o quinti al primo turno, con il 10% dei voti, dietro la sinistra di Mélenchon è una sconfitta – ciò che non è accaduto prima delle elezioni dovrebbe come per magia materializzarsi? Oltre al problema di una fisiologica delusione di elettori e militanti, convinti dai comizi e dalla comunicazione social del candidato che la vittoria sia a portata di mano, Zemmour sembra aver fatto i conti senza l’oste, spiega il politologo Sainte-Marie: «Ammettiamo che i sondaggi siano giusti e che Zemmour arrivi tra il 10 e il 12%. Perché i Républicains dovrebbero esplodere e “consegnarsi” al polemista? Esiste un enorme apparato politico della destra tradizionale a livello locale, le principali regioni sono governate dai Républicains, oltre a molti dipartimenti e comuni: che interesse avrebbe un quadro locale a raggiungere Zemmour? Per non parlare dei parlamentari uscenti, che su alcuni territori rimarranno competitivi. Al limite potranno aggregarsi alla maggioranza presidenziale, avrebbe più senso!».
Se Sainte-Marie spiega perché l’effetto Zemmour avrebbe difficoltà a sfondare tra i Républicains, sull’altro fronte la dinamica ha mostrato quanto sia solido l’elettorato di Marine Le Pen, che resiste malgrado un candidato che per la prima volta ha provato a metterla in difficoltà sui suoi stessi temi: «Ci ha permesso di diventare meno estremi, e di concentrarci sul tema per noi fondamentale che è quello del potere d’acquisto: il nostro elettorato è preoccupato per l’immigrazione, ma soprattutto di come fare ad arrivare alla fine del mese. Sull’immigrazione siamo credibili, sul potere d’acquisto dovevamo diventarlo, per ora le cose funzionano», mi ha spiegato un membro del suo staff presente martedì sera.
Mentre seguo gli ultimi militanti di Reconquête che piegano le bandiere e tornano a casa, ragiono sul simbolismo di questa domenica: dopo il loro enorme comizio al Trocadéro, Fillon e Sarkozy hanno perso le elezioni e la loro carriera politica è finita.
Consigli di lettura e fonti
La radiografia del zemmourismo, uno studio molto dettagliato della fondazione Jean-Jaurès, che analizza con una serie di dati la composizione dell’elettorato di Zemmour.
Libération si sofferma sull’ultima proposta di Eric Zemmour, un ministero della re-migrazione, per riportare ai paesi di origine «le persone che non vogliamo più in Francia». Le Monde analizza i temi da lui toccati durante il Grande dibattito dei Valori.
La Croix spiega come il Trocadéro è diventato il simbolo della destra francese, mentre il magazine l’Incorrect, molto vicino a Marion Maréchal, perché il tentativo di «unire tutte le destre» sia necessario.
Ma quindi la campagna elettorale è finalmente cominciata? Almeno un po’, scrive l’Express, che analizza questa domenica finalmente piena di eventi.