La nuova crisi diplomatica tra Francia e Italia - speciale Marat
Lo scontro tra Meloni e la Francia sull’immigrazione mostra che i partner europei non si fidano di Roma, e che forzando la mano il governo italiano non otterrà grandi risultati in Europa
Inaspettata, come questo numero di Marat. La crisi diplomatica con Parigi ha colto di sorpresa il governo di Giorgia Meloni, che aveva puntato molto sul rapporto bilaterale con Emmanuel Macron per impostare la propria agenda di politica estera. E invece la gestione dell’immigrazione, un tema che sembra scomparso dalle preoccupazioni degli italiani, anche leggendo un sondaggio dell’Istituto Piepoli sulle priorità del nuovo governo pubblicato il 2 novembre scorso, rischia di vanificare il lavoro di queste prime settimane, e isolare Roma in Europa.
Tutto nasce martedì 8 novembre. Dopo un weekend di indugi, l’Italia decide di assegnare un porto a tre navi ONG che trasportano diverse centinaia di migranti salvati in mare durante le settimane precedenti. La politica del governo, guidata dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, segue un principio che lo stesso ministro definisce «di umanità e di fermezza», secondo il quale si riserva la possibilità di scegliere chi far sbarcare dalle navi delle ONG perché «fragile» e chi invece non ne ha diritto. È una procedura contraria alle leggi internazionali, perché spetta allo Stato più vicino al luogo di salvataggio in mare mettere a disposizione un porto sicuro e consentire alle persone di depositare richiesta di asilo, ma coerente con la piattaforma programmatica dei partiti che hanno vinto le elezioni.
Il governo, tuttavia, sottovaluta il contesto nel quale si muove. C’è una quarta nave, la Ocean Viking, gestita dalla ONG Sos Méditerranée, con 234 persone a bordo, tra cui molti minori e persone in gravi condizioni di salute, che chiede alle autorità italiane un porto in cui attraccare. Roma non risponde, prende tempo, con l’obiettivo di imporre agli alleati europei di farsene carico prima dello sbarco. In quelle ore, ma anche il giorno prima a Sharm El Sheik, in Egitto, dove Meloni e Macron si incontrano per qualche minuto, Francia e Italia discutono della questione. Parigi ha una linea chiara: non appena i migranti saranno sbarcati in Italia, procederemo al ricollocamento, come previsto dai nostri accordi. Meloni non si fida, e ha le sue ragioni: in Italia sono sbarcati più di 80mila migranti nel 2022, pochissimi sono stati redistribuiti malgrado l’accordo firmato quest’estate con altri 13 paesi, che si erano impegnati ad accogliere 8mila persone entro giugno 2023. Oggi, secondo quanto riporta il ministero dell’Interno, soltanto 117 persone sono state accolte in Europa sulla base di questo sistema che, evidentemente, non funziona.
Alle 15.30 di martedì l’agenzia Ansa batte una notizia: «La Francia aprirà il porto di Marsiglia alla Ocean Viking» E cita «una fonte del ministero dell’Interno francese» come conferma di questa decisione. Poco dopo, alle 16.42, Matteo Salvini esulta: «Francia apre porto? Bene così, l’aria è cambiata». Dalla Francia non arrivano conferme, anzi, la Sos Méditerranée smentisce di aver ricevuto indicazioni in tal senso. In serata, la situazione subisce un’accelerazione. Alle 21.04, il governo italiano emette un comunicato per ringraziare Parigi: «Esprimiamo il nostro sentito apprezzamento per la decisione della Francia di condividere la responsabilità dell’emergenza migratoria, fino ad oggi rimasta sulle spalle dell’Italia e di pochi altri stati del Mediterraneo, aprendo i porti alla nave Ocean Viking». L’Italia dà dunque per scontato che la Francia aprirà il suo porto alla nave, ma la risposta francese che arriva nelle ore successive, consegnata all’Agence France-Presse, è molto dura. Parigi parla di un «comportamento inaccettabile» da parte delle autorità italiane, che rifiutano di autorizzare la nave Ocean Viking, quando era al largo della Sicilia, a entrare in porto. Questo atteggiamento, continua il comunicato del governo francese, è «contrario al diritto del mare e allo spirito della solidarietà europea». «Ci attendiamo altro da un paese che oggi è il primo beneficiario del meccanismo di solidarietà europeo». Nella giornata di giovedì, dopo aver inviato un elicottero a bordo per trasportare quattro persone in fin di vita, la Francia dà il via libera alla Ocean Viking per l’attracco al porto di Tolone «in via eccezionale».
Il governo Meloni, a questo punto, si mostra sorpreso: «Sono rimasta colpita dalla reazione aggressiva del governo francese, è incomprensibile e ingiustificata», afferma la presidente del Consiglio in conferenza stampa nella mattinata di venerdì, ammettendo tuttavia implicitamente di non aver parlato con la sua controparte francese durante la giornata di martedì: «Abbiamo visto la notizia sull’Ansa, dopo otto ore non era stata smentita, e abbiamo fatto il comunicato per rasserenare». La versione ufficiale italiana è dunque quella di essersi fidati di una fonte anonima del ministero dell’Interno francese senza effettuare una verifica tramite i consueti canali diplomatici. È però difficile credere che nessuno tra Farnesina, Palazzo Chigi e Viminale abbia pensato di alzare il telefono per chiedere conferma a Parigi di quanto scritto dall’Ansa. Sembra più probabile, invece, che il governo italiano abbia voluto mettere la Francia di fronte al fatto compiuto, sottovalutando l’eventuale reazione. Il ragionamento sembra essere stato: Parigi protesterà un po’, ma alla fine si farà carico della nave senza grosse conseguenze, e stabiliremo un precedente utile per la prossima estate, quando le navi in arrivo saranno molte di più.
Se così fosse, sarebbe un grande errore di valutazione. In primo luogo perché i francesi sono piuttosto rigidi sul rispetto delle regole. La Francia era pronta ad accogliere una quota di migranti sbarcata dalla Ocean Viking e dalle altre tre navi ONG, a condizione che l’Italia rispettasse gli impegni, che impongono allo stato di primo soccorso di assicurare lo sbarco. Non avendo l’Italia rispettato questa precondizione, per Parigi la fiducia è venuta a mancare, così come la richiesta di solidarietà italiana: «Abbiamo proposto all’Italia di applicare un principio molto semplice: un terzo dei migranti in capo al paese di sbarco, un terzo alla Francia e un terzo alla Germania, che avrebbero poi redistribuito queste persone in altri paesi membri. L’Italia non ha mai risposto a questa proposta», ha riassunto giovedì in conferenza stampa il ministro dell’Interno francese, Gérald Darmanin.
C’è poi una ragione più politica. La Francia ha avuto un atteggiamento prudente nei confronti del governo italiano, e l’Eliseo non ha ancora deciso quale linea tenere nei confronti di Meloni. Lo dimostrano le dichiarazioni della prima ministra e della ministra degli Affari europei, che nelle ore successive al 25 settembre hanno assicurato che la Francia avrebbe “vigilato” sul rispetto dei diritti umani in Italia, e lo dimostra anche l’incontro organizzato all’ultimo minuto, a Roma il 23 ottobre, tra Macron e Meloni, chiesto con grande insistenza da quest’ultima. Subito dopo il bilaterale, dato per certo dall’Italia ma non confermato da parte francese fino a pochi istanti prima che avvenisse, Macron aveva sottolineato come «i rapporti tra Francia e Italia sono più importanti delle persone». Una frase rivelatrice di una certa diffidenza. Poco prima del voto, Stéphane Séjourné, presidente di Renew Europe, il gruppo di Macron al Parlamento europeo, mi aveva detto di temere che Meloni avesse «un’agenda nascosta», un atteggiamento che può aiutare a spiegare la successiva prudenza.
Tutti questi segnali indicano l’equilibrio precario nel quale si muove Meloni in Europa, specialmente nel rapporto con la Francia: gli altri paesi membri non hanno ancora capito se la linea del governo italiano sarà veramente moderata e collaborativa oppure se le centinaia di dichiarazioni antifrancesi, antitedesche ed antieuropee di Meloni, Salvini e alleati torneranno a guidare la sua azione una volta esauriti gli incontri cordiali di rito che caratterizzano le prime fasi di ogni esecutivo. L’annuncio di Darmanin di aver ottenuto da 11 paesi il ricollocamento di 175 passeggeri della Ocean Viking, di aver sospeso il meccanismo di condivisione dei migranti con l’Italia invitando gli altri Stati membri a fare lo stesso e di aver ristabilito i controlli alle frontiere, rende evidente che al momento prevale la seconda ipotesi, e che alla prima prova di credibilità il governo Meloni non ha rassicurato i partner. Se mentre si discute di come ricollocare i migranti in mezzo al mare il ministro delle Infrastrutture italiano, Matteo Salvini, dichiara che «l’aria è cambiata», è evidente che gli alleati si irrigidiscono, e si chiedono quale sia la vera linea del nuovo governo.
È indiscutibile che il governo francese abbia alzato i toni anche a uso interno: Macron vuole assolutamente evitare che le navi delle ONG comincino a puntare verso la Francia, perché a quel punto avrebbe di fronte due scelte perdenti. Se aprisse i porti, verrebbe accusato di lassismo dal Rassemblement national e dai Républicains, con cui sta pazientemente provando a trovare un compromesso per la legge finanziaria (Macron non ha la maggioranza in Parlamento, e deve dialogare con le opposizioni); se si comportasse come Giorgia Meloni, verrebbe accusato di incoerenza e di disumanità dall’ala sinistra del suo partito e da una parte dell’opinione pubblica.