Sulle tracce di Milan Kundera, scomparso volontario
Mentre i suoi personaggi inebrianti restano impressi nella memoria, lui è diventato uno scrittore fantasma
Marat torna oggi eccezionalmente, ma non per affrontare un fatto di attualità francese. Certo, questa newsletter è nata per seguire ciò che accade in Francia (e alcuni sono iscritti fin dal 2016, grazie!), ma è anche un mezzo per rimanere in contatto e, di tanto in tanto, per aggiornarvi sui miei progetti. Quindi, eccone uno: nome in codice: Elitár I. Sulle tracce di Milan Kundera, un piccolo libro arrivato in Italia la scorsa settimana e di cui ho curato la traduzione dal francese.
Non è soltanto una storia appassionante, ma è anche un testo importante, che riflette profondamente sul ruolo degli scrittori, della letteratura, della politica e del rapporto tra chi scrive e chi legge.
Milan Kundera è stato, e credo questo sia un sentimento comune, l’autore principale della mia tarda adolescenza. La sua scrittura morbida, l’alternarsi, in uno stesso libro, del romanzo e del saggio, è una sua particolarità meravigliosa, che ci ha regalato un registro talmente difficile da replicare da meritarsi un aggettivo tutto per sé: kunderiano.
Lo scrittore ceco, che oggi ha 93 anni, ha deciso da tempo di parlare soltanto attraverso i suoi libri. Nel 1984 ha smesso di dare interviste, di partecipare a convegni, di rispondere a domande sulla sua scrittura: il suo lavoro basta. Perché ha preso questa decisione? Perché è diventato uno “scomparso volontario”?
Ariane Chemin, inviata speciale del quotidiano Le Monde, si è fatta guidare dalla qualità più importante per una giornalista, la curiosità, e ha provato a rispondere a queste domande, indagando a fondo la vita passata dello scrittore: il periodo in Cecoslovacchia, prima a Brno poi a Praga, la fuga in Francia, il rapporto con l’Unione sovietica e la letteratura. Tutto è condensato in un libro difficilmente classificabile: un po’ ritratto, un po’ biografia letteraria, un po’ reportage.
Ariane è riuscita a compiere questa piccola impresa anche grazie alla complicità di Vera, moglie di Milan, protagonista di questa storia tanto quanto lo scrittore: la coppia ha vissuto peripezie che da sole varrebbero un romanzo, ha incontrato ministri, presidenti, editori e cineasti famosi, compositori e pianisti assassinati, vecchi dissidenti e spie pentite.
Tradurre il suo libro è stato per me un piccolo privilegio: quando l’ho comprato e letto, ho subito pensato che avrei voluto discuterne con l’autrice, chiederle dei dettagli, indagare le sue scelte stilistiche, approfondire alcuni aneddoti. Ringrazio NR edizioni per aver subito accolto la mia proposta. E ringrazio Ariane, per averci fatto questo regalo.
nome in codice: Elitár I. Sulle tracce di Milan Kundera si può acquistare sui principali store online come Amazon oppure IBS e nelle librerie. Se la tua libreria non ce l’ha, può sempre ordinarlo dalla casa editrice. Ed è disponibile anche sul bookshop di NR edizioni.
Ho pensato di regalarvi il primo capitolo, in modo che possiate farvi un’idea più precisa della storia, dello stile di Ariane Chemin e della particolarità della sua indagine. Buona lettura!
La sparizione
All’improvviso Parigi somiglia a una triste capitale di un paese del blocco dell’est. Le persone in fila, grigie e silenziose, attendono con pazienza davanti alle panetterie, poi corrono a rifugiarsi a casa prima del coprifuoco. A testa bassa, con le mascherine sul naso, la folla va troppo di fretta per notare una donna minuta, mora e gracile, con occhi neri e capelli corti, che cammina con passo deciso all’incrocio tra la Croix-Rouge e boulevard Raspail.
Io la conosco. Ho scorto spesso la lunga figura di Milan Kundera aggrappata a quella di Vera, sua moglie da oltre cinquant’anni. Due corpi tanto sconvolgenti quanto la loro vita di tormenti attraverso i secoli e le frontiere, due anime sorelle avvolte l’una all’altra nello stesso destino, come condannate a vivere e morire incatenate. Le incrocio, non oso avvicinarmi.
Per i suoi lettori, l’autore de Lo scherzo è diventato uno scrittore fantasma, come Samuel Beckett, che si poteva sfiorare due o tre strade più a nord, un paio di decenni prima. Il sesso (triste), la risata (graffiante), il “sorriso” del cane Karenin, il gesto della mano di Agnes al bordo della piscina… i suoi personaggi inebrianti restano impressi nella memoria. “Una geniale semplicità”, diceva Béla Bartók, “l’intelligenza della banalità delle cose”, riassume lo scrittore Benoît Duteurtre, tra i suoi primi intimi amici.
A furia di rifiutare ogni invito ad apparire in televisione da quasi quarant’anni, il romanziere è riuscito a cancellarsi dal reale. La rarità illumina, l’onnipresenza diluisce l’essere. Vivere attraverso i suoi libri, svanire in essi, diventare il narratore muto di storie già raccontate: Kundera, 93 anni, è uno scomparso volontario. È uno degli scrittori più letti al mondo: la cinquantina di traduzioni dei suoi diciassette libri tappezza l’ingresso del suo apparta-mento come un corridoio a spirale della Torre di Babele. Con il suo saggio L’arte del romanzo è diventato anche uno scrittore per scrittori; ha dialogato con altri grandi come Gabriel García Márquez, Salman Rushdie, Philip Roth, Leonardo Sciascia, ha frequentato il cineasta Federico Fellini e mille altri artisti.
Un piccolo quadro del suo amico britannico Francis Bacon decora, pare, una delle pareti del suo appartamento. “Lo sguardo del pittore si posa sul volto come una mano brutale… In ciascuno di noi, vi è quel gesto brutale, quel movimento della mano che oltraggia il volto dell’altro nella speranza di trovare, in esso e dietro di esso, un qualcosa che vi si è nascosto”, ha scritto Kundera in un vecchio testo del 1977. Bacon aveva scovato questo scrittore ceco straordinario: nessuno l’aveva compreso così bene. Da quel momento, i titoli di questo sconosciuto sono diventati dei totem. Ridotte in massime, le citazioni tratte dai suoi libri servono per esprimere il desiderio, la morte o la gioia sui social media. Prigioniero di una trasformazione in cartoline della letteratura, Kundera porta a termine l’organizzazione della propria sparizione.
La tentazione di sparire gli è venuta dopo il successo de L’insostenibile leggerezza dell’essere, nel 1984. In quell’anno, accetta l’invito di Bernard Pivot negli studi di Apostrophes (il principale programma televisivo letterario dell’epoca, ndt), ma già tende le mani davanti al proprio viso – la foto diverrà famosa – per tenere distante l’obiettivo, esattamente come Philip Roth. Un venerdì sera di gennaio, scopro dalla televisione i suoi occhi blu e le sue languide parole. Il contegno di Kundera, il suo atteggiamento un po’ meccanico, la sua timidezza e il suo gusto per il silenzio mi appaiono come riposanti rispetto al rumore e alle luci stroboscopiche dell’epoca. Amo la sua idea di innalzare l’intimità a valore supremo. Eccelle nell’introspezione amorosa.
Subito dopo la trasmissione, i media se lo contendono. “Sono in overdose di me stesso”, si angoscia a quel tempo davanti al suo amico, il saggista Christian Salmon, che lo intervista per The Paris Review. Tutto per la letteratura, e attraverso di essa: da quel momento, Kundera si mura nel silenzio. “Nel giugno 1985, ho fermamente deciso: mai più interviste. Salvo… i miei diritti d’autore, a partire da questa data qualunque mia dichiarazione riportata deve essere considerata come un falso”. Sul citofono del suo appartamento parigino, il cognome di uno dei suoi amici romanzieri o quello del suo traduttore islandese depistano. Per far sì che sua moglie o lui stesso rispondano al telefono, bisogna rispettare un codice. Uno squillo, due… veri riflessi da clandestini.
Kundera è uno scrittore errante. Può lavorare in piedi, seduto, in un giardino o nel suo studio, a casa sua o di altri, con in mano un bicchiere di rum bianco o di Pelinkovac, il famoso liquore d’assenzio di Zagabria. Le isole sono il suo unico sfizio. Da quello che ho capito, a un certo punto la coppia aveva pensato di esiliarsi in Islanda, per vivere ancora più in incognito; ma Kundera è convinto che la frequentino troppi turisti. Dopo un giro in un paesino nazionalista nascosto in un bosco di castagni, tanto avevano adorato le serate e i versi grandiosi declamati al Sampiero, un bar affacciato sulla strada, che il loro desiderio, rimasto inesaudito, fu quello di sparire in Corsica. C’è sempre posto per la musica, l’arte e la poesia con i Kundera. All’Hotel du Maquis “prenotavano la camera numero 10, la più isolata, quella con l’accesso diretto alla spiaggia. Sono rimasti parecchie settimane, credo che lui qui abbia persino scritto un libro. Da allora, chiamiamo quella camera la ‘suite Kundera’”, mi spiega il proprietario.
Amavano anche l’isola di Lošinj, in Jugoslavia, come l’atelier del loro amico Ernest Breleur, il pittore dei ritratti senza volti, in Martinica. Queste erano le isole in cui preferivano rifugiarsi, all’epoca in cui, da apolide, Kundera viveva senza passaporto. Ma alla fine sono rimasti a Parigi. Oggi abitano in fondo a una strada senza uscita che, quando arriva la primavera, assume dei contorni da isolotto lussureggiante.
I rari ritratti concessi ai media sono spesso opera di sua moglie. Un giorno, Le Monde attribuì per errore uno scatto a qualcun altro, e Kundera chiese una “rettifica”. Soltanto Vera ha il diritto di imprigionarlo. “Quando mi hanno ricevuto all’Académie de France, volevo farmi una foto con lui”, ricorda lo scrittore Dominique Fernandez. “Se n’è andato, furioso, e non è più tornato”. Quando il primo ministro ceco, l’oligarca “antisistema” Andrej Babiš, ha visitato il loro appartamento nel novembre 2018, Kundera ha posto una serie di condizioni: nessuna foto per il consueto post Facebook domenicale del politico. “È come un vecchio indiano che teme gli venga rubata l’anima”, ripete spesso Vera.
Per prudenza, Kundera preferisce inviare disegni più che lettere. Sono personaggi strani, come dei Picasso in stile Barbapapà, creature dalle forme molli e rotonde. Nella sua casa, Leïla Slimani ha incorniciato uno schizzo con dedica, realizzata con la sua grafia infantile “Milan K”, con un fiore al posto del puntino sulla “i”. Lettere, dattiloscritti: la coppia non lascia alcuna traccia dietro di sé. Nell’autunno 2010, dopo ventiquattro anni di servizio a tempo pieno, Vera ha smesso di gestire da sola gli affari di suo marito e ha concesso i diritti esteri delle sue opere all’agente letterario americano Andrew Wylie, alias lo Sciacallo, e ha stracciato tutti i contratti. “Ho chiamato i netturbini, e un quarto di secolo della mia vita è stato ridotto in coriandoli”, confidava poco tempo fa alla rivista ceca Host. “Credo abbiano bruciato anche la loro stessa corrispondenza”, sussurra Alain Finkielkraut, loro amico da quarant’anni.
Di Flaubert, Milan Kundera ama citare questa frase: “L’artista deve fare in modo che la posterità creda ch’egli non abbia vissuto”. Ha sempre detestato l’interesse contemporaneo per “l’indiscrezione”, questo “peccato capitale” (New York Times, 1985). Ha vissuto in un’epoca di acque torbide, grigie e non si fida delle griglie di lettura contemporanee sulla vita nei paesi dell’est: “La polizia ha distrutto la vita privata nei paesi comunisti, i giornalisti la minacciano nei paesi democratici”. Davanti a François Nourissier, pilastro del mondo letterario oggi scomparso, un giorno Kundera si lasciò andare: “Non amo fare il melodramma della mia vita”. E vi ha posto dei sigilli.
Che vita, però! Dalla sua nascita nel 1929, in Cecoslovacchia, all’invasione nazista, dalla presa del potere dei comunisti nel 1948 alla primavera di Praga vent’anni più tardi, dalla scelta della Francia come patria alla sua “rinaturalizzazione” alla fine del novembre 2019, un secolo di storia si srotola attorno alla sua. “Nel suo destino è impressa tutta la tragedia dell’Europa del suo tempo”, ha scritto Kundera a proposito di uno dei suoi romanzieri preferiti, il viennese Hermann Broch. Lo scrittore ceco ha attraversato la guerra fredda e la cortina di ferro, a cavallo di due secoli e altrettante frontiere, e accompagna la lenta disintegrazione delle illusioni europee. Un vero destino da romanzo, quasi un personaggio di John Le Carré.
Al tavolo del bistrot dove mi ha dato appuntamento, poco lontano da rue des Saints-Pères, Vera Kundera si mostra giocosa, ma diffidente. Non mi propone di incontrare suo marito. “Le nostre vite non sono di alcun interesse”, afferma. Mi pesa con la sua voce grave e mi lancia degli anatemi rubati agli anni della guerra fredda: “Questi segugi di giornalisti devono essere impiccati”. Afferra il mio bloc-notes tra due tazzine di caffè, e lo scarabocchia come una bambina, poi scoppia a ridere e il suo viso si addolcisce. Dodici ore più tardi, mi invia un sms notturno, il primo di una lunga serie. Capisco che la caccia al tesoro comincia.
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Testo estratto da: nome in codice: Elitár I. Sulle tracce di Milan Kundera di Ariane Chemin, traduzione di Francesco Maselli, NR edizioni, 16 euro.
Disponibile sui principali store online come Amazon o IBS e nelle librerie. Oppure sul bookshop di NR edizioni.